NOAH AND THE WHALE, “Heart Of Nowhere” (Mercury, 2013)

frontIl tempo è il genio al quale è consacrato il quarto album dei Noah and The Whale, declinato attraverso le maschere della realtà con le quali lo percepiamo e lo cantiamo: years, night, time, late sono le parole ricorrenti di titoli e testi. Il tempo dicevo, e soprattutto il tempo celebrato nelle fattezze marmoree degli anni ’80, della new wave, della reductio ad unum del punk alle grintose linee di bassi martellanti, degli XTC, dei Talking Heads, di Bruce Springsteen. Non siamo però di fronte “Alla Ricerca del Tempo Perduto” perché “Heart Of Nowhere” – il cuore del qui – resta al palo, serrato nell’ambigua riproduzione esteriore di un tempo perduto che raggiunge una mimesi ineccepibile di stilemi, colori, suoni, anche odori, ma che ci svuota della naturalezza corposa della propria anima con cui aderire a tutte queste esperienze sensoriali. Insomma… riproduzione di riproduzione di riproduzione di riproduzione…

Sono fatali al combo britannico già l’open-track “Introduction”, alla maniera abusata degli Arcade Fire, e la partecipazione griffata senza infamia e senza lode di Anna Calvi, che duetta collegialmente con Charlie Fink nella title-track, per avere la misura e il peso di brani dagli ascolti contati. Escludo le immancabili perle che forse tradiscono capacità celate, forse colpi in canna per momenti creativo-commerciali più bui, e mi riferisco a “One More Night”, una di quelle canzoni che sa risuonare da una stanza all’altra e rimbalzare da una parete ad un angolo mantenendo la fascinosa sospensione da eco nostalgico, e a “Still After All These Years” che pur non eccedendo in solarità tropical ci trasmette liquidamente atmosfere perdute di una certa epoca “spensierata” che l’hammond insistito in coda incide nelle recondite insondabilità interiori.

Ma il resto è la somma di un quantitativo organizzato di materiale che “deve” esserci per ricreare in studio gli sfondi scenografici degli anni ’80, tanto che né i violini nevrotici di “Lifetime”, né la chitarra posticcia di “All Through The Night”, né la cantabilità aggraziata di “Silver And Gold” o di “Now Is Exactly The Time” riescono a nascondere che “Heart Of Nowhere” è un disco canonico e di superficie, per il quale non è lecito spendere più altre parole, se non quelle per dire che non sarà l’album dell’anno ma che avrà tuttavia una sua nicchia di rispetto, quella di un pop accuratamente demodè che oggi è radiofonicamente di moda.

60/100

(Stefania Italiano)

24 maggio 2013

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