Intervista ai Mandara

Il nostro Federico Olmi ha incontrato a Gennaro De Rosa dei Mandara, il progetto musicale e culturale guidato con passione ormai da più di un decennio dal percussionista cosentino.

Sia “Alatul” nel 2004 che “Mandara” quest’anno hanno ottenuto importanti riconoscimenti di critica. Sono segnali che la musica indipendente di qualità è viva e in espansione anche dal punto di vista commerciale oppure che continua a rimanere un fenomeno essenzialmente di nicchia?
I riconoscimenti sono importanti soprattutto per il morale di chi fa musica! (ride) Quelli avuti sono stati tanti e molti inaspettati. Non produco musica per ottenere riconoscimenti o top ten e classifiche. Fino ad oggi non ci eravamo mai sottoposti al voto dei sostenitori; grazie al MEI siamo rientrati nella top 50 dei migliori brani indipendenti del 2010, e con nostro grande stupore ci siamo ritrovati tra i primi 10 nella top ten al 6. posto. Tutto ciò, in realtà, non so cosa possa significare ma di certo il nostro brano era quello meno “pop” di tutti i 50 presenti, quello meno main stream e quello meno italiano soprattutto. Il problema non è la qualità della musica ma sono i canali, le metodologie di promozione e distribuzione che sono molto retrò. La diffusione della musica dovrebbe camminare di pari passo con l’evoluzione tecnologica ma in questo momento è ancora qualche passo indietro.

Oltre che musicista sei anche discografico. Quando ci siamo visti a Faenza mi sono accorto che i partecipanti al MEI sono in calo, anche per le spese da affrontare, forse. Ci puoi spiegare perché, come mi hai detto, “è comunque meglio esserci che non esserci”?
E’ da qualche anno che con due soci (musicisti anche loro), portiamo avanti questa avventura di MkRecords. È un lavoro impegnativo che, probabilmente, sottintende una passione per la musica superiore a quella che puo avere un artista o un musicista. Non ci sono applausi che ti rinfrancano quando produci musica. La nostra è una scelta “d’amore” (sorride) e come si sa l’amore ha un prezzo alto quando è folle e forte. Ti ho detto che è meglio esserci che non esserci perché in realtà se non ci fosse il MEI in Italia non ci sarebbe nulla di simile o di lontanamente vicino. Credo che quel momento di Novembre sia importante, proprio perché, in piena era digitale, nulla si tocca piu realmente e il MEI è una grande occasione per toccarsi (Ride). Il MEI è davvero lo specchio della Musica Indipendente Italiana. Il problema è che lo “spazio” per la Musica e per la cultura in generale è sempre minore e la colpa di tutto ciò è di “chi sappiamo” e di chi fa “crollare Pompei” o toglie i fondi ai Teatri. E’ difficilissimo lavorare per la “cultura” attraverso la musica indipendente nell’era della “deculturalizzazione”. “Esserci è meglio che non esserci” anche per questo. Il MEI dà il posto dove incontrarci e crea delle occasioni: i premi, le classifiche, i contest ecc. ecc. Le distribuzioni indipendenti non prendono piu nuove etichette perché i numeri sono bassissimi. Dobbiamo inventarci qualcosa, come quando si passò dal giradischi alla musicassetta. Solo che ora la “battaglia” è piu complessa.

Ritieni che lo strumentale da solo possa veicolare un messaggio culturale, politico o sociale profondo, oppure che non possa fare a meno della parola? Nella musica di Mandara sembrano quasi coesistere ambedue le risposte…
I testi sono importanti perché le parole arrivano piu velocemente e sono dirompenti e meno sottili rispetto alla musica strumentale. La differenza credo stia nel fatto che un brano strumentale dà “l’ambiente sonoro” per costruire un messaggio culturale e il tutto è affidato alla sensibilità di chi ti ascolta. Il testo invece lascia meno spazi all’interpretazione. Il testo è un concetto o un messaggio culturale o politico “urlato” anche se sussurrato (sorride). “I Classici” hanno fatto “rivoluzioni” con la musica strumentale ma era un’epoca dove il sussurro incendiava gli animi.
Comunque sia – strumentale o cantata – l’importante è che si faccia musica per “dire qualcosa”. L’arte non è fine a se stessa. Paul Gauguin diceva che “L’arte è o plagio o Rivoluzione”. Io sono per “la Rivoluzione” e non per la “Ricreazione” (ride)

Nell’ultimo album mi paiono emergere più decisi accenti cantautorali. Allo stesso tempo, rispetto ad Alatul c’è un maggiore lavoro sulle voci e meno spazio per lo strumentale.
Tutto è partito come esperimento, per provare ad unire la musica dal solco di Alatul ad una espressione piu diretta e meno criptica, quindi lavorare sui testi. Mi sono rivolto ad amici Autori, perché è bene che ognuno faccia ciò che sa fare. Un AUTORE sa usare le parole e dice cose che arrivano a chi le ascolta. Abbiamo coinvolto Peppe Voltarelli per “Apfelsaft” o Kiave per “Wind Song”, o, addirittura, scomodato Burroughs per “Hassan I Sabbah”. Volevamo dire delle cose e dirle nel miglior modo possibile, senza improvvisarci autori come fanno molti. L’ho fatto solo in Yallah, ma è giusto una “provocazione” perché quel testo non è altro che una sorta di “etno scat” che non dice nulla, proprio come tanti testi che mi capita di ascoltare ma che hanno delle parole “vere” però. (ride)
Ci puoi parlare brevemente della tua formazione musicale e delle influenze che hanno portato allo “stile Mandara”?
Io nasco come batterista, ho anche studiato un po’ di anni in Conservatorio percussioni clssiche. Ho suonato la batteria con le cover band, con artisti di musica leggera come Ferradini, con il Parto delle Nuvole Pesanti. Ho poi conosciuto, grazie ad Arnaldo Vacca, il mondo delle percussioni e dei tamburi a cornice – e questa è stata la prima “Apertura” verso un nuovo mondo immenso e affascinante. Poi ho conosciuto Marco Messina dei 99 Posse che mi ha fatto conoscere quella che potrebbe essere l’altra faccia, cioè l’Elettronica, altro mondo affascinante ed immenso. Con lui, con un progetto che si chiama “PENCO-Pentole & Computer” abbiamo accostato questi due mondi con un risultato che ci diverte e ci porta in giro. Comunque sono stati gli “incontri” e gli “scontri” che mi hanno portato ad arrivare a questo tipo di sound, diciamo!! Non penso esista uno “stile Mandara” – o se c’è non ne sono consapevole. Sono un assertore del potere “dell’inconsapevolezza”, soltanto nell’espressione artistica ovviamente. Un grande regista teatrale italiano, Giancarlo Cauteruccio, con il quale ho la fortuna di collaborare, dice che “L’arte, se è vera, non ha risposte”. (ride)
Gli ascolti variano dal Kraut Rock dei Can al Raj di Khaled, passando per la musica arabo andalusa o il pop maghrebino o mediorientale ma anche, perché no, la musica d’AUTORE e la musica leggera Italiana. Un po’ tutto, anche il rumore del motore di questa macchina che sento mentre parliamo. L’apertura e la curiosità, forse, sono gli ingredienti fondamentali.

In Mandara si sono avvicendati musicisti e voci differenti. Quanto hanno influenzato la tua musica?
Si sono avvicendati per due motivi : il primo è il mio carattere, non sono molto morbido, soprattutto quando lavoro a cose mie; l’altro, invece, è il desiderio di conoscere e di scoprire mondi e personalità di altri, come una sorta di “vampiro” che non fa male a nessuno però, o come una spugna – ecco meglio una spugna. (ride) Lo scambio è il “fuoco” della creatività. Penso che altrimenti tutti i brani di questo disco sarebbero stati altro. È un po’ come tentare di cucinare piatti differenti utilizzando sempre gli stessi ingredienti – gira e rigira ci sarà un momento in cui non c’è altro di nuovo da fare. Sperimentare con diversi ingredienti invece, in cucina come nella musica, ti dà la possibilità di creare piatti nuovi. La cucina italiana ma soprattutto quella regionale è contaminatissima da tutto il mondo. Cambia solo “il senso” ma il metodo credo sia identico. Basta guardare i supporti della musica e i supporti dell’arte culinaria: Dischi e Piatti. La forma è identica! (ride)

(Federico Olmi)

Collegamenti su Kalporz:
Mandara – Mandara
Mandara – Alatul
Mandara – Bisanzio

15 febbraio 2011

3 Comments

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *