[Dvd] My son, My son, what have ye done

Il film di Werner Herzog, che ingiustamente non ha avuto una distribuzione capillare in tutte le sale italiane è ora disponibile in dvd distribuito da 01 Distribution.

“David Lynch presents a Werner Herzog film”. Per gli amanti del cinema questa è roba da saltare sulla sedia. Unione esplosiva dai risultati imprevedibili. É connubio tra sguardo visionario e sincera resa della realtà. É amore e psiche. Di Herzog c’è la critica della moderna società americana, c’è la natura, imponente e padrona, madre e matrigna. Di Lynch c’è il sogno, il delirio, l’inconscio. Se poi ci allontaniamo da comuni facilonerie del tipo prendi un nano mettilo sul set e avrai Lynch, si incomincerà a pensare a questo film come ad un autentico lavoro herzogiano (e questo è, dallo script alla regia). E il nano tutto vestito a puntino che compare in un paesaggio innevato, senza alcuna connessione con la realtà filmica narrata, apparirà più come un omaggio, una strizzatina d’occhio all’amico regista (forse anche con velata ironia) più che una vera e propria intrusione di Lynch nel film. Di lynchana memoria c’è Grace Zabriskie, maschera dallo sguardo terrificante in molti film di Lynch da Twin Peaks a Inland Empire, nella parte di una madre invadente e morbosa nel suo rapporto con il figlio. Un nuovo personaggio invece, si aggiunge alla galleria dei “pazzi” di Herzog, un altro uomo che sta fuori dal cerchio, un’altra voce fuori campo, un altro mondo che cade. Come quello di Woyzeck. Come quello di Bruno Stroszek. Questa è la storia di Brad McCullam (Michael Shannon) e della sua follia che si insinua e serpeggia tra le pseudo normalità circostanti. Herzog non lascia spazio all’immaginazione, nell’incipit è svelato da subito il tragico epilogo: Brad ha ucciso la madre con una spada orientale. Non c’è sangue, non c’è tensione, solo un corpo che giace a terra e quelle ultime parole sospirate “My son my son what have ye done”. E’ attraverso i racconti in flashback della sua fidanzata (interpretata dalla stella del cinema indipendente Chloë Sevigny) e del suo insegnante di recitazione (Udo Kier), che il passato recente di Brad si compone come in un puzzle. Forse tutto ha inizio con una tragedia greca (l’Elettra di Sofocle) che Brad recitava a teatro prima di commettere l’atroce omicidio. Il mito racconta di Oreste che uccide la propria madre per vendicare il padre. É qui che teatro, finzione e realtà si incontrano e si mescolano e Brad è Oreste e il matricidio un atto necessario e inevitabile di purificazione e rinascita. O forse è un viaggio in Perù, momento di catarsi e simbiosi con la natura e con dio, l’inizio della parabola discendente del protagonista. Al suo ritorno Brad ascolta solo la sua voce interiore, dice di chiamarsi Faruck e vede dio ovunque, anche su un barattolo di farina d’avena che che poi scaglia contro i poliziotti, “non ho più bisogno di dio”, grida, e dio rotola sull’asfalto in una sequenza di allucinata poesia. Quando sembra di essere arrivati a comprendere la pazzia di Brad, è tutto il resto a sfuocarsi e la linea di separazione tra ciò che dovrebbe essere normale da ciò che non lo è non è più così netta. Memorabile la scena della cena a tre: Brad, la sua fidanzata, la madre e una schifosa gelatina molleggiante che Brad non vuole assaggiare e allora la madre lo imbocca e il tutto diviene una scenetta grottesca e imbarazzante che Herzog vuole fissare bene bloccando i personaggi che per pochi attimi smettono di muoversi, come in un fermo immagine. Tremano appena, muovono le ciglia, ci fissano e noi siamo costretti a guardarla negli occhi la follia. Assoli di violoncello ci accompagnano nella contemplazione di immagini surreali e nei frequenti momenti di sospensione della verosimiglianza con la realtà. Come quando Brad compare in cima ad una montagna, crede che tutto il mondo lo stia guardando, le montagne e le nuvole guardano in basso verso di lui. Poi la scena si sposta e siamo nel mezzo di un mercato peruviano, Brad si muove smarrito tra la folla, tra anziani lavoratori, volti segnati dal tempo e Herzog per un attimo torna ad essere documentarista regalandoci ritratti di una straordinaria forza espressiva. Il film che ha diviso la critica, spiazzato i tanti amanti del cinema di Herzog e che ha ricevuto anche qualche fischio quando è stato presentato a sorpresa alla 66° Mostra del cinema di Venezia è sicuramente un’occasione in più per comprendere un regista complesso e sofisticato come Herzog. Come recitava klaus kinski in Woyzeck: “Ogni uomo è un abisso, gira la testa se vi si guarda dentro”. E Herzog dentro quell’abisso si perde.

(Simonetta Caiozza)

1 febbraio 2011

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *