DESTROYER, “Kaputt” (Merge, 2011)

Pare che dei The New Pornographers, a Dan Bejar – dentro lo scafandro del progetto Destroyer – rimanga poco o se non altro dettagli insignificanti, ed eccolo allora a rimuginare, inventare, stilizzare nuovi contegni sonori per mescolarli in quello che poi dovrebbe significare un suo rinascimento, il suo voltarsi indietro per guardare avanti, e “Kaputt” – nuovo e terzo disco della trasformazione customerizzata – pare invece suggellare che tali scelte spingano alla deriva quella già flebile e poco sensazionistica preservazione a rimanere nella memoria collettiva di cultori musicali.
Il cantautore di Vancouver – se si va a ripescare “Trouble In Dreams” che è predecessore di questo nuovo capitolo discografico – già faceva scontrare i suoi fan con inversioni ad U stilistiche che, se da un lato potevano inorgoglire le ingratitudini di sentori malinconici e gassosità ambient, dall’altro ingrassavano i sapori di un pop romantico forse da troppo tempo inespresso, e questo disco come a rispettare le infinite eleganze sintetiche e lounge di un certo appannaggio clubbing, si tuffa a corpo morto nel centro degli anni 80, nel focus poco più che tiepido di quello “speech individualistico e confidenziale” che lascia infiniti dubbi e una ricerca spasmodica da parte dell’ascolto di sostanza vera e propria.
Difficile da descrivere perché tanto diverso da se stesso (con lo scorrere delle tracce), l’indipendenza sonica che trama il tessuto compositivo dell’album è di quelle che si ama immediatamente o ti porta ad incarognirsi contro per il sussiego prolisso di un manierismo dandy “China town”, “Savage night at the opera”, “Kaputt” con sbocchi techno soulness “Song for America” o la depression land aggrappata ai tasti di pianoforte liquido in “Suicide demo of Kara Waljer”, in concreto una lunga incursione in un passato remoto dove l’unica frenesia è quella rimasta sopita nei lustrini spenti di un Bowie allampanato ed un Bryan Ferry oscenamente impomatato.
Se si avesse la coscienza marchettara del gioco a rimando si potrebbe dire “un disco dl sapore meravigliosamente antico”, ma la sincerità umana di annunciare un flop rigato da nove tracce è più forte e verace.
Fermate il mondo, rivogliamo i The New Pornographers!

20/100

(Max Sannella)

2 febbraio 2011

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