AA.VV., “Salsa Explosion: The New York Salsa Revolution 1970-1979 ” (Strut, 2010)

La Salsa è per sua natura una musica contaminata, creativa, fatta per ballare, ma non solo. Ultimamente, è molto in voga la sua variante più becera e volgare, tutta declinata sul rimto più adatto agli strusciamenti e ai saltelli di ballerini, tanto che sembra quasi impossibile trattarla come un genere musicale. Eppure dal Son cubano al Chachacha, dal Mambo al Guaracha, dal Calypso al Rock ‘n Roll, dal Reggae alla Plena, dal Merengue al Jazz, dalla Cumbia al Soul non c’è sfumatura ritmica che non sia stata evocata o mescolata nella sua amalgama sonora. Ragione di sincretismo e di commistione culturale. L’origine di questo genere è antica e misteriosa. Nasce in Africa e viaggia con gli schiavi attraverso l’Atlantico, ritrovando senso ed espressione (suonata e ballata) sotto il sole delle Antille, a Cuba e Portorico sopratutto, dove poi si mescola alla lingua e alla cultura andalusa e all’influsso della Contradanse suonata e ballata nella Francia (e quindi nella creola Haiti). Alla fine degli anni ’50 del secolo scorso questa musica sbarca a New York, insieme agli immigrati caribici e alla loro nostalgica solarità. Anche qui la sua vitalistica originalità non significa folklore: il suo ritmo continua a autoalimentarsi e a contaminarsi con i linguaggi delle orchestre jazz, con i rimti dell’R&B e con la velocità del Rock. Prende così forma una nuova Salsa, che ritorna, strutturata e cosciente, a conquistare l’America latina e poi il Mondo intero. L’etichetta promotrice di questa rivoluzione è la Fania Records di stanza a New York. I due fondatori sono il grande musicista domenicano Johnny Pacheco e l’italoamericano Jerry Masucci. Il loro sogno è quello di dare voce alla Harlem ispanica, di gestire e promuovere il grande sottobosco di solisti, compositori e orchestre che anima la comunità caraibica della città alla fine degli anni ’60. Questa etichetta (vera e propria music-farm) ha il merito di aver definito il suono, la cultura e il linguaggio del genere e di aver scoperto grandi voci e grandi musisti. Non è errato, quindi, affermare che la Salsa è nata a New York con la Fania, anzi il nome “Salsa” si deve proprio a un certo Izzy, disegnatorie grafico in questi studi, che lo derivò dal grido con il quale le band erano solite incitarsi durante i live. Questa compilation, distibuita dalla Stunt, raccoglie il meglio del Fania Sound, le storie di grandi personaggi, ognuno a modo suo importantissimo per lo sviluppo del Latin jazz, del suono latinoamericano e del ritmo afrocubano.

Si parte dal 1970 e si ci ferma al 1979. Il primo nome è quello di Wille Colon, solido trombettista di origine portoricana, con la sua salsa romantica “Che Che Colè”. La fusione di gioia e malinconia, di bellezza e degrado, tipica della condizione dell’immigrato mal inserito nel contesto urbano metropolitano, è qui perfettamente sintetizzata dall’articolata composizione del musicista, dove il jazz è sostegno discreto e mobile per gli slanci lirici tradizionalmente latini. Se Colon incarna il lato più armonico della salsa, il leggendario percussionista Mongo Santamaria esprime tutta l’intensità ritmica del genere. I ritmi afro-cubani di Santamaria regalano attimi di grande coinvolgimento istintuale, suggestioni tribali e ritualistiche di profonda bellezza. Le influenze afro sono qui predominanti e il sincretismo espirme il suo lato più arcano. Questa musica, in realtà, non è salsa, nè jazz, ma qualcosa di comune, o meglio di precedente. Lo stesso Santamaria, non a caso, fu autore del famosissimo standard jazz “Afro Blue”, reinterpretato successivamente anche da John Coltrane. In “Pachito Echè” duettano Tito Puente e Celia Cruz. Per chi non lo sapesse Puente è il re del mambo, il più grande timabalista di tutti i tempi e la Cruz (la reina del boogaloo) è una delle cantanti latine più conosciute al mondo. Il brano in questione è un trascinante mambo virato in salsa, un inno alla Colombia, dove la Cruz si traveste da James Brown latina e Puente tormenta clave e campanacci con la precisione di un click elettronico. Se la Cruz è la regina del boogaloo e della prima salsa, c’è anche spazio per Joe Sonny Cuba, il “padre del Boogaloo”, cantante e virtuoso delle congas. In “Do You Feel It” l’artista conduce il suo sestetto a sfiorare un’estetica blaxploitation, con un R&B in 4\4 a due fasi, dalla strofa da rap flemmatico e il ritornello carico di bollente intensità Soul. C’è un moog infuocato che si muove attorno alla cantilena di vibradoni e congas e la voce di Joe Cuba imita il Marvin Gaye più incazzato e soul (fase “Trouble Man” per intenderci) di tutti i tempi. In “Cùcala” Celia Cruz ritona accompagnata da Johnny Pacheco, il clarinettista fondatore dell’etichetta. Questa salsa molto danzabile esaspera il ritmo bolero e lo nevrotizza attraverso stacchi di fiati e atmosfere da plena, ma siamo già in territori più “classici”, ovvero meno interessanti. “Mama Gueta” è l’esplosione creativa e stilistica della leggendaria Fania All Stars, supergruppo latino di salsa in cui hanno militato tutti i maggiori esponenti del genere (la Cruz, Puente, Feliciano, Barreto e Colon tra gli altri). Qualsiasi dj da club salsa dovrebbe conoscere e possedere questo pezzo. Ralfi Pagan è, invece, un cantante del Bronx dalla voce fortemente soul e femminile. Qui si esercita a rifare in cover (up-temporizzandola) la “Brother, Where Are You?” di Oscar Brown, colorandola di ambigua malinconia latina. Il tutto suona emozionante e ben prodotto, ballabile, ma sopratutto, ascoltabile. Il portoricano Eddie Palmieri crea in “Bilongo” un jazz-salsa pianistico riscaldato da ritmiche rumba e da una tromba elettrizzante. “Guaguancò Arsenio” è un ottima composizione orchestrale di Tito Puente con Camilo Azuquita (al secolo Luis Rodriguez), caldo interprete panamense di salsa newyorkese, poi trasferitosi in Francia (e per questo idolo e autorità morale dei salsisti francesi). “El Nuovo Barreto” di Ray Barreto (il re dalle mani dure) è forse il pezzo migliore della collezione. Raffinato zibaldone sonoro di jazz be bop, salsa e baciata. Qui Barreto percuote congas, clave, tamburi, guiri e bongos creando un coinvolgente tappeto ritmico che struttura la melodia ed effonde tutto il sapore latino del brano. Molto alto lo standard anche di “A Mi Nena” incisa da Rafi Val y la Diferente. Siamo ancora in un territorio latino romantico, non ancora orientato sull’erotico, dove il jazz è argine della pura e fuoviante ballabilità che il tempo alto impone. Il mood si arricchisce di toni esplicitamente exotici nel brano conclusivo della selezione a firma Willie Colon & Hector Lavoe, intitolato “Todo Tiene Su Final”. Certo, per l’orecchio non addomesticato a certe sonorità i brani, presi tutti insieme, possono apparire ridondanti e un po’ noiosi, ma la qualità è oggettivamente alta.

Sarebbe un’ottima occasione per i curiosi che vogliono approcciarsi al genere. Dopo questa stagione newyorkese di sistemazione, la Salsa si specialezzerà in alcuni sottogeneri sussunti al ballo, come la velocissima Timba o la già citata Salsa erotica, abomini, o meglio cafonate, che poco hanno a che spartire con la produzione qui conservata. Non c’è più creatività nè contaminazione. Mi viene in mente la differenza tra un vero Cuba Libre (splendido nella sua commistione di ron cubano e cocacola americana, con zucchero di canna e lime pestato) e un triste e ignorante Rum e Cola. (Il sito dell’etichetta ha una buona radio e se non c’avete un cazzo da fare vi consiglio un ascolto http://www.fania.com/radio). Viva la revolution.

(Giuseppe Franza)

22 ottobre 2010

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