SHOUT OUT LOUDS, Work (Merge, 2010)

Esce nel 2010 “Work”, il terzo album degli Shout Out Louds, dopo che i primi due hanno provveduto a spianare la strada e a fornire una buona reputazione e fama dalla critica.
Ormai non ci si deve più stupire di questo gruppo: il loro esame di maturità è stato già superato con successo. Stesso discorso vale anche per il solito “problema del terzo disco”, dove molte band possono perdere un po’ di smalto per strada: non è il caso della band svedese, che ha saputo affrontare questo scoglio con serenità ed intelligenza.

“Work” è un lavoro (scusate il gioco di parole) in cui è mischiata eleganza e raffinatezza insieme a tratti malinconici e nostalgici, sia per le liriche che per le sonorità.
Se quando andiamo al supermercato sappiamo già cosa aspettarci da un prodotto già utilizzato precedentemente senza esserne sorpresi, allora se scegliamo questo disco degli Shout Out Louds, potremmo già conoscere la forma del loro stile senza rimanerne delusi. Infatti questo sembra un prodotto che ha sia il carattere morbido e vellutato (tipico scandinavo) per poterlo sentire in un pic-nic al parco con amici, ma assume anche toni decisamente dinamici e metropolitani (se vogliamo più europei) per poterlo ascoltare alla fermata del bus.

Il sound del disco contiene una prevalenza di chitarre e batteria con le aggiunte di piano, fiati (immancabili tra i gruppi del Nord Europa), cori e spruzzate di synth quà e là. Proprio quest’ultima è una nota a loro favore: in un periodo dove le sonorità new wave vanno maledettamente di moda, loro non rinnegano le loro origini, non tradiscono i loro fan e mantengono il loro carattere tradizionale seppur deciso.

Per quanto riguarda la tracklist, l’impatto è subito forte con i primi due pezzi d’apertura, “1999” e “Fall hard”, con un ritmo orecchiabile e trascinante e liriche non banali: segni ripresi poi da “Show me something new”, traccia decisa e accattivante, che richiama pienamente lo stile del gruppo.
Il clima malinconico e nostalgico appare in “Play the part” e “Paper moon”, per le musiche e per i testi velatamente tristi. Altra canzone da citare è “Throwing stones” contraddistinta dal ritmo veloce, dai falsetti del frontman Adam Olenius e da un riff western quasi uscito da Johnny Marr dei tempi buoni. Ma il tema forse più suggestivo è rappresentato dalla magia evocata soprattutto da due tracce in particolare, “The candle burned out” e “Too late too slow” appunto, che sembrano portarci lontano dalle nostre realtà, facendo rivolgere il nostro pensiero e la nostra immaginazione verso paesaggi innevati ed incontaminati.

Un album può raccogliere tante cose: brutte notizie, serate piacevoli, delusioni, sentimenti profondi. Ciò che si evince da questo disco è sicuramente qualcosa di molto emozionante e gli Shout out louds non sembrano sottrarsi a proporcelo.

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