Prodigy, Palabam Mantova, 23 aprile 2010

Sinceramente, pensavo di aver visto tutti i tipi di concerti. Come tipologia di pubblico, intendo. Invece quello dei Prodigy mi ha sorpreso, e notevolmente: eccessivo e molesto come la musica della band dell’Essex. Oltremodo molesto. All’inizio, quando diversi ragazzi si buttavano giù dalle gradinate per poter assistere al concerto in mezzo alla bolgia con la security che li riprendeva dai jeans e li ributtava su, mi sono chiesto se per caso ci fosse Jim Morrison ad aggirarsi da quelle parti. L’elettricità di esaltazione era a mille come in quelle scene che la storiografia dei Doors ci ha abituato ad immaginarci.
Non che non fosse prevedibile, certo, ma l’atmosfera rave c’era tutta e di più in un Palabam che faceva fatica a trasformarsi da tranquillo palasport di provincia tutto “sport e vita sana” in club pieno zeppo di individui che la vita più sana che vogliono immaginare vomitare dalla gradinata sul parquet alle otto e mezza (visto anche questo).
Il djset dei South Central, tamarro al punto giusto, è servito per scaldare gli animi: l’inizio dei Prodigy si è materializzato con “World’s On Fire” e in effetti qualcosa c’era che andava a fuoco, sì, Mantova. Nella bolgia si iniziava a non connettere molto, era in atto una gara di sopravvivenza in piena regola che non lasciava molto il tempo di capire bene cosa si stesse vivendo, se una rissa allo stadio o un’allegra e bonaria scazzottata tra amici. Qualcosa però si è annotato: una “Breathe” meno potente di quello che si potesse presumere, una “Firestarter” e “Warriors Dance” (eravamo tutti warriors!) da colpo in testa che tramortisce assieme a una “Invaders Must Die” da urlo, e la inimmaginabile “Smack My Bitch Up” con tanto di invito di Maxim in mezzo al pezzo a sedersi (come già aveva raccontato il nostro Franza nel report del Neapolis dell’anno scorso) per poi rialzarsi subito e ripartire con il pogo scomposto.
Maxim è una roccia, una specie di avatar imponente dalla presenza scenica latamente inquietante, mentre Keith Flint è come il biondo degli 883: balla, gira per il palco e non fa assolutamente nient’altro. E’ solo immagine, pura immagine. Dietro, Liam Howlett se la ride e controlla il tutto, con decisi abbellimenti tastieristici anche ai pezzi più classici (da ascoltarsi il nuovo riff in “Diesel Power”) e si riafferma come il vero deus ex machina della band. Una batteria potente al punto giusto e una chitarra cyberpunk fanno il resto del suono live.
Tra nasi sanguinanti, giacche volanti, chiavi per terra, ragazze con lo sguardo fisso in un’altra dimensione, verso la fine i Prodigy hanno rallentato un po’ i ritmi affinché il pubblico rifiatasse e “Take Me To The Hospital” non fosse presa un po’ troppo “in parola”. Dopo un concerto dei Prodigy è sottile la differenza tra l’andare a casa o all’ospedale, può essere questione di un attimo.
Pensavo di avere visto tutto, e mi sbagliavo di grosso.

(Paolo Bardelli)

Scaletta:
World’s On Fire
Breathe
Omen
Poison
Thunder
Warriors Dance
Firestarter
Run With The Wolves
Voodoo People
Invaders Must Die
Diesel Power
Smack My Bitch Up
Take Me To Hospital
Out Of Space
Spitfire
Their Law