THE BIG PINK, A Brief History Of Love (4AD, 2009)

Che sia la volta buona, finalmente. Perché non se ne può di NME e affini che pompano continuamente le big next thing di turno. Nomi che si sovrappongono dopo qualche mese ad altri per hype e notorietà finendo per lasciare spazio ad altre novità spesso destinate al ridimensionamento o al dimenticatoio e così via.

The Big Pink è un duo londinese formato da Milo Cordell e Robbie Furze, compositori polistrumentisti che un po’ l’hype effettivamente se lo sono saputo creare tra singoli, versioni alternative e video che di fatto hanno portato sotto i riflettori cinque dei nuovi brani prima di quest’anno. Il resto l’ha fatto il passaggio alla 4AD e il trasferimento a New York per la registrazione dell’LP di debutto. Giro rituale nei festival più importanti in patria e in Europa e la convocazione a supporto dei Muse che tra qualche anno probabilmente ci farà ridere come cosa, vista l’orribile degenerazione di Bellamy e soci.
Tornando a loro, è ascoltabile già per intero e gratuitamente sul sito ufficiale della band, (musicfromthebigpink.com) “A Brief History Of Love”. Album che dà subito l’idea di uno di quei lavori che segneranno inevitabilmente questo 2009 che sta chiudendo il decennio con un’inaspettata serie di buone produzioni.
Per convincersene basterebbe la splendida traccia introduttiva, “Crystal Visions” con la sua introduzione fatta di stridori e riverberi che idealmente sfida il brano d’apertura dell’esordio dei Glasvegas cui sono stati superficialmente accostati.

Anche loro rievocano le psicosi dei Jesus & Mary Chain, è vero, nella suddetta come nella titletrack. Ma se i Glasvegas sono Glasgow, coralità e sbronze in strada, The Big Pink è underground londinese, intimità e trip introspettivi. Ne è una riprova la celebrazione post-romantica dell’amore prevalente in parole e toni mai frivoli o leggeri. E più concretamente, l’intensità emotiva di un altro brano-top, “At War With The Sun”, improbabile connubio tra post-punk, rave e shoegaze.
Lo shoegaze scorre copiosamente per tutto l’album, da intendersi non tanto come genere, ma nel modo di trattare o maltrattare le chitarre e nella saturazione-limite delle distorsioni. Anche nei momenti più electro, dalla claustrofobia industrial di “Too Young To Love” a “Golden Pendulum”, con la voce scanzonata e visionaria nella tradizione madchester. Partendo dalle stesse influenze e derivazioni dei Kasabian (su tutte i Primal Scream di XTRMNTR), il duo dimostra una maggiore maturità nel gestire la tentazione dell’autosputtanamento melodico e della ricerca del motivetto facile. Tre esempi: “Dominos”, “Velvet” o “Frisk” che sarebbero probabilmente delle canzonette senza la ricerca sonora che emerge negli arrangiamenti.

Basso e batteria edificano dei groove gelidi e incessanti, i synth e le chitarre si fondono in un freddo magma electro-noise che non copre mai del tutto la voce. Lo shoegaze sarà anche nato dalle loro parti, ma l’aggressività del loro impatto è molto più accomunabile ai rumorismi d’oltreoceano, negli sprazzi di Ministry e Nine Inch Nails che emergono un po’ a sorpresa. Ma il lentone alla Verve “Love In Vain” e la ruffiana “Tonight” che ripesca sprazzi di Happy Mondays e Stone Roses rivisti in chiave digitalizzata fugano ogni ulteriore dubbio circa la provenienza dei due. Quanto del resto l’acida conclusione in cui emergono nuovamente l’originalità nella scelta dei suoni e nelle equalizzazioni sempre sporche e inquiete.
A voi The Next Big Pink!

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