DEERHOOF, Offend Maggie (Kill Rock Stars / ATP Recordings, 2008)

Ludici e lucidi, irrispettosamente pop e magnificamente nevrotici, Satomi Matsuzaki (basso e voce), Greg Saunier (batteria), John Dieterich (chitarra) ed Edward Rodriguez (chitarra) registrano per la Kill Rock Stars il loro piccolo capolavoro indie intitolato “Offend Maggie”.
Sorprende in questo nuovo album, più di tutto il resto, la viva e trascinante freschezza del vivace e mutante pop-rock-psichedelico, visto e considerato che i Deerhoof non sono certo una formazione nata l’altro ieri (sono in giro da quasi 15 anni) o senza una forte identità: la loro storia ce l’hanno e pure forte. Qui c’è elettricità, creatività che accarezza e stride, che sa farsi melodia facile facile e poi avvilupparsi su e in se stessa, o auto scorticarsi, o talvolta esplodere e diventare qualcosa d’inaspettato e comunque necessario; c’è urgenza e vocazione, cura per gli arrangiamenti e molta tecnica, sempre al servizio della fantasia.

Canzoni-origami con le quali giocare e lasciarsi prendere in giro; mille derive che si fondono in un amalgama che suona personale e coinvolgente, divertente senza essere goliardica: “Offend Maggie” è un disco pieno di fragranti canzoni e buone idee, nonostante la vocina e le melodie di Satomi facciano di tutto per risultare a lungo andare insopportabili.

All’interno dell’album universo, ogni pezzo è un capitolo a sé stante, un piccolo sistema solare con le sue galassie di senso e le sue polverose meteoriti – di noise, elettronica, delay – che irrompono nell’ordine cosmico a portare colore e scompiglio.

“Snoopy Ways” spacca (!) senza manierismo: basso tiratissimo, ritmica post funk visionaria e andamento mordace con un’attitudine diretta e sincera che ci riporta ai suoni migliori anni ’90.
La title track è un gioiellino pop che avrebbero potuto scrivere i Beach Boys nel loro periodo più tossico, due minuti di libertà e follia regolata da una forma fragile e autosufficiente nella propria semplicità. “Don’t Get Born” è una macchia che sta proprio bene lì dove sta! In “Family of Others” si evocano fantasmi hippy e bucolici. La band di San Francisco si diverte a fare il verso alla storia del rock in pezzi come “Basket Ball Get Your Groove Back” e sembra incamminarsi, senza paura, verso una potenza strumentale del tutto nuova rispetto ai precedenti lavori (la formazione a quattro è davvero azzeccata). “Fresh Born” è uno dei pezzi che meglio concilia lo sclero psichedelico sperimentale, i vecchi profumi indie rock e l’onnipresente sensibilità pop del gruppo. “This is God Speaking” suona glitch e kitch, prendendo e prendendosi per il culo.

Tutto appare spensierato e fresco, comprese la disperazione e l’alienazione che sovente risuonano negli inquietanti squarci di feedback, nelle interferenze di rumore e in certe notine di tastiera davvero malinconiche. L’ordine questa volta è la vera forza del caos. Una prova di maturità e di classe.

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