ZABRISKY, Northside Highway (Shyrec / Audioglobe, 2008)

Dopo sei lunghi anni dal precedente album (“Orangegreen”), si rifanno vivi i veneziani Zabrisky con un secondo brillante lavoro che alcuni di noi non dimenticheranno tanto facilmente. Per chi ha passato i pomeriggi più solitari della propria adolescenza domestica a spulciare i dischi degli Smiths in cerca di piccole illuminazioni private o per chi ha trascorso intere domeniche provinciali e piovigginose immaginando le gesta degli eroi minori della psichedelia inglese della seconda metà degli anni ottanta, questo “Northside Highway” sarà un bellissimo colpo basso. Dicono di rifarsi più o meno esplicitamente ai gruppi di etichette di culto come Creation e Sarah Records gli Zabrisky ed è verissimo, basta accendere il lettore e subito la mente si riempie di “quel” suono impercettibilmente sfocato, accarezzato dalle screpolature lievi di un melanconia coltivata come una forma segreta di miopia per guardare il mondo attraverso la visione di una bellezza dai contorni imprecisi e quindi più vera nella sua vaghezza indecisa. Il suono di gruppi di cui oggi nessuno parla più, i Biff Bang Pow!, gli House Of Love, i James, i La’s (i La’s diavolo!) ma anche gli Inspiral Carpets e i Charlatans che ancora vivono e resistono , sebbene alle soglie di una quasi impopolarità che non si meritano davvero.

Oppure i Field Mice, formazione britannica che a molti dirà poco o nulla, nome di punta della citata Sarah Records e figura chiave nell’ideazione e nella messa a punto di quell’estetica “indiepop” sognante senza la quale gran parte dei gruppi svedesi di oggi (dai Club 8 ai Radio Dept.) effettivamente sarebbe finita a rimpinguare le squadre di creativi del quartier generale dell’Ikea. Dei Field Mice gli Zabrisky regalano un’estatica versione di “Emma’s House”, un francobollo da infilare in qualche piega nascosta della mente per quando torneremo a visitare i luoghi diroccati e fatiscenti in cui non abitiamo più da anni, anche perché questo disco è tutto un gioco di case e soprattutto di interni, di tendine ricamante e di carte da parati scolorite, di vetri appannati e di teiere sbreccate con dietro un ritratto della regina morta coperto da un velo di polvere sottile. Ce le spiegano canzoni come “Summer Starts Today”, “Crash” ma soprattutto “Your House Was Bright On Sunday”, il “vettore” ideale del disco, che ricorda i caschetti tondeggianti e le frangette da bulli dei primi e più acerbi Stone Roses al gusto di cinnamono di “Sally Cinnamon”, mentre imbrattavano i vicoli di Manchester con graffiti e la vernice multicolore del loro pop domestico senza sapere che di lì a poco avrebbero cambiato la storia del rock.

Il resto sono, come direbbe Gozzano, il principe di ogni possibile crepuscolarismo, “buone cose di pessimo gusto”, belle perché fuori di ogni moda o tempismo, come la melodia di “I Love Her When She Smiles” o l’iniziale “Northside Highway” che sembra nascondersi sotto il piumone spesso di una febbre leggera, trentasette e mezzo, sufficiente per rimanere a fissare il cotone che si forma nell’ombelico e rimandare a oltranza ogni possibile risveglio o risalita assillante “al mondo”. Vi auguro di ascoltare questo disco il giorno del vostro compleanno e spero che quel giorno sembri sempre sul punto di piovere e non piova mai.

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