STARS, In Our Bedroom After The War (Arts & Crafts, 2007)

Negli anni ’80 del ventesimo secolo i giovani erano più giovani. Dal decennio successivo avrebbero cominciato a togliere dalla naftalina i pantaloni a zampa di elefante e le camicie attillate dei genitori, sarebbero tornati su strade già battute piuttosto che azzardarne di nuove, anche se futili o improbabili.

Questa è una possibile ragione del perché si finisca sempre a parare da quelle parti, soprattutto se, come nel caso dei canadesi Stars, è proprio l’essere giovani ciò che si vuole mettere in scena. Una gioventù idealizzata nei suoi slanci passionali e nei suoi down, che è più uno stato mentale dei nostri anni che una condizione anagrafica: infatti Torquil Campbell, leader della band, non è un teenager; è attivo come musicista (e attore) da anni, ha fatto quattro dischi con gli Stars e ha trovato posto sulla panchina lunga dei Broken Social Scene assieme a metà degli indie rocker canadesi. Le sue influenze sono anche altre, ma i punti di riferimento sono il pop britannico di metà anni ’80 (dagli Smiths ai Prefab Sprout), il synth pop, la new wave. Buffo come un decennio vituperato per la sua futilità sia ora saccheggiato per parlare di emozioni senza compromessi, di ideali più forti delle contingenze quotidiane.

“In Our Bedroom After War” si nutre di parole altisonanti e immagini a tinte forti, a cominciare dal titolo: è un immaginario fatto di barricate, di fughe notturne, di commemorazioni di amici assenti, di amori senza compromessi e di sete d’amore che non si placa… il tutto immerso in un liquido amniotico di melodie dolci e indovinate, quasi mai eccessivamente zuccherose, leggere anche quando l’aspirazione all’inno intergenerazionale è scoperta. Leggera è la voce della chitarrista Amy Millan, anche lei con la doppia tessera Stars/BSS, che divide i compiti vocali con Campbell: il suo tono sottile e velluato mi ricorda certe grazie evanescenti dell’indie pop come Harriett Wheeler dei Sundays o la Nina Persson dei primi Cardigans. È lei che fa funzionare brani lievi come “My Favorite Book”, oppure sexy ed energici come “Bitches in Tokio”, caramelline pop che si sciolgono nelle orecchie. Quando invece la ribalta è per Campbell, i toni si fanno più drammatici, quasi magniloquenti, alla costante ricerca dello anthem da stadio: “Take Me To The Riot”, con il suo finale da U2 fase “Unforgettable Fire” è quanto di più vicino Torquil riesca ad avvicinarsi al Graal dell’inno pop romantico. Altrove la mano gli scappa, come nella stucchevole ballad pianistica “Barricade”, o nella title track conclusiva, infarcita di quella enfasi orchestrale che solo i connazionali Arcade Fire riescono a gestire senza sembrare elefanti in tutù. Meglio il falsetto funky di “The Ghost of Genova Heights”, o la suggestiva “The Night Starts Here”, forse il miglior duetto fra Millan e Campbell dell’album.

Gli Stars sono un esempio da manuale di gruppo abbastanza indie per le college radio ma sufficientemente accessibile per film e serie per/sui giovani: ecco perché contendono ai Death Cab For Cutie il primato di band ideale per la soundtrack di “The O.C.”. Questo “In Our Bedroom…” è la colonna sonora di una ideale prima limonata durante una altrettanto ideale prima occupazione del liceo, come uno se la può sognare e come non è mai stata in realtà. La trappola è così evidente, eppure finisce che ci si casca sempre. Come l’ennesimo passaggio di “Breakfast Club” in tv.

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