VERDENA, Requiem (Universal, 2007)

Ritorna a distanza di tre anni dall’ottimo “Il Suicidio del Samurai” (uscito,e successivamente promosso con concerti, anche in Francia, Germania, Svizzera ed Austria) la band dei fratelli Ferrari e Roberta Sammarelli, tornati nuovamente ad essere un trio come agli esordi. L’assenza di due anni dai palchi è stata rotta escusivamente per tre date estive in territorio nostrano, usate anche per proporre i pezzi che sono andati via via formando la scaletta di questo nuovo album. Chi ha assistito a questi concerti avrà sicuramente colto la svolta operata nel sound, fortemente influenzato dall’America dei gruppi stoner, territori sonori esplorati da Kyuss e QoTSA e ben più duri rispetto a ciò a cui i Verdena avevano abituato. Sarebbe infatti sbagliato parlare di un sound “internazionalizzato”, caratteristica che i Verdena già possedevano almeno dal secondo “Solo Un Grande Sasso” che, nel rievocare le cavalcate psichedeliche dei Motorpsycho, avrebbe potuto già da allora portarli oltre confine.

La sensazione si avverte subito nell’iniziale “Don Calisto”, che arriva dopo l’intro “Marti In The Sky” e dove le intenzioni sono subito svelate: sound sporco e aggressivo, chitarre distorte sostenute da una base ritmica rumorosa e decisa. Stupisce inoltre la capacità di portare i pezzi dritti al dunque: canzoni quali “Isacco Nucleare”, “Non Prendere l’Acme Eugenio” (citazione pinkfloydiana livemente modificata) e “Was” suonano come vere e proprie mazzate nello stomaco, batterie ossessive e riff taglienti di un’intensità e corposità davvero impressionanti. Trovano inoltre maggior spazio gli episodi acustici, qui con “Angie” e “Trovami Un Modo Semplice Per Uscirne”: una delle tante facce dei Verdena, fino ad ora ascoltate più che altro come lati b dei singoli, che non sfigura affatto in una tracklist orientata senza dubbio più al noise che alla quiete. Rumore che si fa straripante nel finale assassino de “Il Gulliver” la traccia più lunga assieme a “Sotto Prescrizione del Dott. Huxley” dove il violento riff si trasporta in code che scaricano tutta la cattiveria di una band che mai si era spinta così lontano. Tutto questo senza tralasciare, sarebbe una colpa, i falsetti e il riff catchy di “Muori Delay”, i momenti introspettivi-malinconici e più – mi si conceda l’espressione – “vecchi Verdena” ne “Il Caos Strisciante”, pronta comunque a esplodere ancora una volta.

Se si tratti di disco della consacrazione sarà il tempo a dirlo. La critica si dividerà nuovamente tra chi apprezza (e noi siamo dalla loro) e chi denigra, come accade ripetutamente per ogni lavoro della band di Albino. Forse i Verdena, che comunque andranno sempre per la loro strada a prescindere dai giudizi, stanno stretti all’Italia. E chissà che in futuro non passino più tempo all’estero che dalle nostri parti.

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