JASON COLLETT, Idols Of Exile (EMI, 2005)

Che il Canada sia ormai una delle più proficue fucine di talenti di questi anni è ormai cosa palese. Che questi talenti si ospitino l’un l’altro nelle proprie registrazioni è sintomo della vivacità della scena. Per dire: a “Idols of exile”, terzo album del cantautore Jason Collett (con precedenti nella Andrew Cash Band e successivamente nei Broken Social Scene), hanno partecipato membri di gruppi come Stars, Apostle of Hustle, Broken Social Scene e Do Make Say Think.

Ciò non significa che Collett sia a corto d’idee, tutt’altro. Il confronto con “Motor motel love songs” è però inevitabile. Rispetto al suo predecessore, “Idols of exile” è più frizzante, sorridente e colorato, con arrangiamenti più ricchi; tuttavia tutto ciò sembra andare a scapito delle canzoni, più elaborate ma meno fantasiose, scritte meglio ma con meno inventiva, meno azzeccate. Ciò non toglie che il disco presenti dei pezzi di tutto rispetto: su tutti la saltellante “Hangover days”, una “We all lose one another” dal ritornello magnetico, la scoppiettante e irresistibile “I’ll bring the sun” e l’eterea “Tinsel and Sawdust”.

Insomma, questo disco è molto più canadese di “Motor motel love songs”, e risente pesantemente dell’esperienza con i Broken Social Scene (in positivo, ovvio), ma non soddisfa appieno. Poco male, rimane comunque un ben più che modesto album di cantautorato, originale e vivace, che ci conferma, se ce ne fosse bisogno, che al Canada bisogna guardare con ammirazione e speranza.

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