IVANO FOSSATI, L’arcangelo (Columbia, 2006)

“Lampo viaggiatore” (2003) aveva lasciato una scia luminosissima, dopodiché “Dal vivo Vol.3” aveva presentato in veste acustica brani di repertorio vecchi e nuovi: della mancanza di un nuovo disco di Ivano Fossati non ci si era neanche accorti. La trilogia dal vivo, oltretutto, si presenta come un’operazione qualitativamente senza precedenti nella storia della canzone d’autore italiana. Dopo tre anni passati senza scrivere niente, ora esce questo nuovo “L’arcangelo”. E’ dura dover sostenere il paragone con un lavoro magnifico come “Lampo viaggiatore” e un capolavoro come “Dal vivo Vol.3”, senza parlare di lavori ancora precedenti come lo sperimentale ma affascinante “Not one word” o il granitico, ossuto, perfetto “La disciplina della terra”. E infatti le nuove composizioni non sempre reggono il confronto.

E’ un disco intriso di un divertimento leggero, questo “L’arcangelo”. Un senso di tranquillità ispirativa lo pervade fra i suoi alti e bassi: lo dimostra in maniera esemplare un brano scherzoso e lasciato andare come “La cinese”. Comunque la stoffa è stoffa, e il genovese ne ha da vendere, tanta da poter dispensare perle rare anche in un lavoro sostanzialmente minore come questo. “Il battito” incarna lo spirito del disco: arrangiamenti moderni e testi diretti, ma non per questo superficiali o buttati lì, anche perché Fossati ormai non ci riuscirebbe neanche se volesse. “Ho sognato una strada” e il singolo “Cara democrazia” proseguono sulla stessa strada, ma con le chitarre in primo piano, nella scanzonata “Reunion” sono i fiati a farla da padrone, in “Denny” un amore omosessuale viene raccontato senza allusioni dirette né facili espedienti. Il resto dell’album però sembra scritto e realizzato con il pilota automatico, e a volte risulta anche stucchevole, come nel caso di “L’amore fa”.

Per un disco ben più che accettabile basterebbe d’altronde la sola “Baci e saluti”, elegia in pieno stile fossatiano che nasce da una chitarra e un’armonica tremolanti e si sviluppa su un arrangiamento finalmente minimale che lascia parlare parole elusive, ellittiche.
“L’arcangelo” è stato creato con leggerezza e ironia, e questo si percepisce chiaramente. Tuttavia, si avverte la sensazione che la poetica di Fossati raggiunga il suo zenith quando si fa più oscura, più ermetica, più sofferta. Magari questo è soltanto un pregiudizio da sfatare, l’ennesimo in una carriera tanto ricca quanto cangiante. C’è tempo, per scoprirlo.

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