GOLDFRAPP, Supernature (Mute / Virgin, 2005)

Chissà perché, mentre ascoltavo questo “Supernature”, terza prova dei Goldfrapp, mi tornava ossessivamente in testa un titolo: non-stop erotic cabaret. Eh già, i Soft Cell. “Tainted love”. L’electro-dark anni ’80, sensuale ed ambigua. Anni ’80, appunto; vent’anni fa, e forse sarebbe meglio piantarla con il revival e cercare qualcosa di originale.

Ero rimasto incantato, anni fa, dalle atmosfere cinematiche di “Felt mountain”, da quella voce di ghiaccio e da tutta la sua eleganza; passano due anni, arriva “Black cherry” e mi ritrovo Alison conciata come una Louise Veronica Ciccone un po’ più indie; e adesso, il duo sembra avere trovato la propria via, cioè quella di mediare tra la sensualità della cantante e tra sognanti sintetizzatori. Beh, scusate, ma rimango piuttosto freddo: “Ooh la la”, il primo singolo, è certamente efficace, ma siamo ai livelli di un – seppur sofisticato – locale di lap dance; “Ride a white horse” non gode certo di una metafora sottile nel titolo, eppure riesce a farsi piacere, grazie a frequenze digitali molto basse e a ritmi più sostenuti, quasi techno.

Solo quando il modo di cantare di Alison riporta a “Felt mountain” si esce dal cliché, e le cose migliorano: accade in “U never know” dove, tra elettronica spezzata e archi, la voce si attesta su registri alti e sembra voler rincorrere Kate Bush. Ma certo!… – mi dico -… ecco dove Alison Goldfrapp vuole andare a parare: basta ascoltare “Koko nights” per capire che la cantante vorrebbe essere una versione matura e sessualmente più consapevole della ninfetta di “The kick inside”. Ma ce n’era tutto questo bisogno? Davvero? Dopo le solite moine sexy di “Slide in” (altro potenziale e inutile singolo), “Let it take you” rallenta le atmosfere e riesce a sedurre molto più di prima; se non altro, da questo momento in poi affiora un po’ di buon gusto, come nei suoni tipicamente 80s di “Fly me away”, o nel ritmo che rimbalza e si arricchisce ad ogni passaggio in “Satin chic”, con quel pianoforte che sembra provenire direttamente da un bordello anni ’20.

Il problema dei Goldfrapp, in definitiva, non sembra essere cambiato dai tempi del debutto: gli arrangiamenti sono piatti e si ripetono sempre allo stesso modo: gli archi di “Time out of the world” potrebbero venire da qualunque altra canzone di “Supernature” e nessuno si accorgerebbe della differenza. Forse sarebbe ora di contraddire i Soft Cell: con tale mancanza di fantasia, sarebbe meglio interromperlo, questo benedetto cabaret erotico.

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