CLINIC, Winchester Cathedral (Domino, 2004)

Thom Yorke ha un fratello che canta, e bene, e ha fatto cose egregie con gli Unbelievable Truth. Ma deve avere almeno un cugino. O un fratellastro. Se non lui, chi potrebbe essere Ade Blackburn, il cantante dei Clinic? Nel recensire “Winchester Cathedral” non si può lasciar da parte questa parentela vocale dei Clinic coi Radiohead che, anche se già pacifica, si ripropone drammaticamente nella sua ambivalenza. Sì perché fa inconsciamente piacere ascoltare qualcosa che sia vagamente yorkiano, ma a mente fredda si verifica la sindrome degli Stone Temple Pilots: presi in sé erano piacevolissimi, ma ascoltati con un po’ più di scaltrezza mostravano di essere composti perfettamente da puzzle sonori presi dagli altri gruppi grunge originali. E Ade Blackburn non fa nulla per allontanarsi dal suo modello: il suo cantato diventa ancora più libero e sbiascicato mentre la musica si fa più psichedelica. Elementi dei Radiohead.

Più precisamente “Winchester Cathedral” è un album granitico nella sua monoliticità. Tutti i pezzi sembrano una figlia (per rimanere in tema di parentele) di “Harmony” del precedente “Walking With Thee”: stesso tempo cassa-charleston aperto, stesse timbriche di organo, stessi riff ossessivi e ripetuti. Il suono perde di pulizia, si sporca e si ingigantisce a tal punto da credere quasi in una pecca di produzione. Guardiamo le note di copertina: la produzione è stata curata dagli stessi Clinic (assieme a Ken Thomas) e perciò tutto è spiegato. I produttori esistono perché servono.

Le canzoni, seppure si assomiglino tutte, non sono male. Anzi, a chi piace il genere (lo definiamo psyco-wave? boh…) e la matrice british dovrebbe trovarle irresistibili. “Winchester Cathedral” è uno di quei dischi compatti che non puoi che ascoltare in blocco, di cui non ti ricordi o ami una canzone in particolare: o hai una mezz’oretta di tempo (dura trentasei minuti) o non lo ascolti. Inutile quindi citare un pezzo piuttosto che un altro, sarebbe un voler fare la recensioncina compita della serie “E La Tal Canzone E’ Sicuramente Il Prossimo Singolo”.

E’ un album che piano piano ti entra dentro, che inizi a custodire come un oggetto non bellissimo ma strano e raro. Perché mentre lo ascolti ti accorgi che ha approfondito un piccolissimo meandro della musica, anche se appena lo poni fuori dal lettore pensi che non ne ha esplorati troppi altri. I Clinic devono crescere, sembra che si siano beati a registrare incoscientemente questo disco tutto d’un fiato senza preoccuparsi di che cosa fare da grandi. Irresponsabili, ma simpatici come uno scavezzacollo.

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