R.E.M., “Around the sun” (Warner Bros, 2004)

rem-around_the_sun-frontalL’uomo, creatura animale dal non eccelso grado di evoluzione in corso, ha un enorme difetto: tende a provare verso ciò che ha modo di rincontrare più volte nel corso della propria vita una sorta di affetto frutto della malinconia tipica dell’apparato mnemonico. E’ così possibile che anche un lavoro indegno come l’ultimo messo a punto dai R.E.M. trovi presso gran parte del pubblico e buona parte della critica un’accoglienza comunque confortevole. Perché se solo ci si soffermasse a riflettere sui suoni riprodotti in stereofonia dal lettore cd sarebbe impossibile non accorgersi della totale mancanza di gusto, idee e stimoli presente in “Around the Sun”.

Che il declino fosse oramai inesorabilmente in atto era stato palesato sia da “Up” – album piatto e ovvio, pur con un paio di impennate a cercare di salvare il salvabile – che dal patetico “Reveal”, ma di fronte al disastro di quest’ultima fatica persino i passaggi a vuoto degli scorsi anni appaiono apprezzabili. “Around the Sun” è in realtà un non-album, dato il fatto che niente di ciò che vi è contenuto all’interno sembra avere il minimo senso. La storia dei R.E.M. continua a rigirarsi su se stessa, serpente che si mangia la coda, nastro di Moebius senza soluzione di continuità; nulla a che vedere con il fin troppo abusato termine autoreferenzialità, sia chiaro, il rimpasto continuo di Michael Stipe e soci non prevede riletture a posteriori di quanto già composto e suonato, non c’è ombra di postmoderno nelle geometrie musicali della band. Si tratta solo di una stanca e disgustosa fagocitosi di sé, proposizione estremizzata e continua della stessa base melodica, dello stesso accordo, dello stesso fraseggio musicale. Un unico istante che si dipana avanti e indietro, in forward o rewind come genialmente evocava il video di “Imitation of Life” (quello, sì, frutto di idea e senso). Da anni non facciamo che sorbirci il solito album dei R.E.M., utilizzando la scusa più banale: “se la prima era una bella canzone, perché se la rifanno dovrebbe diventare squallida?”
Già, l’insopportabile etica della classe!

Sono dunque estremamente soddisfatto di poter rassicurare anche i fans più incalliti: in “Around the Sun” non c’è la benché minima traccia di qualcosa che sia riconducibile alla classe. L’unico pezzo che sembra dotato di buon gusto è paradossalmente proprio il terribile singolo di lancio, “Leaving New York”, capace di tracciare un paio di linee direttrici non poi così disprezzabili prima di piombare in uno dei ritornelli più devastanti e pacchiani che mi sia capitato di ascoltare ultimamente. Sul resto poi è veramente meglio stendere il più classico dei veli pietosi: dalle imbarazzanti ipotesi pseudo-elettroniche di “Electron Blue” alle ballatone con quoziente d’intelligenza sotto lo zero come “Make it All Ok” e “Final Straw”, fino a quell’improvvida escursione nel mondo dell’hip hop che presenta il finale di “The Outsider” – probabilmente la più brutta canzone di sempre dei R.E.M. – non c’è nulla che valga la pena salvare.

Ma la cosa più sconcertante è la palpabile sensazione di trovarsi di fronte a un qualcosa totalmente privo di senso. Perché Stipe si potrà riempire la bocca quanto vuole di parole contro Bush, ma come fa poi a spiegare allora un album che è quanto di più reazionario possa esistere? Reazionario da un punto di vista strettamente musicale, è ovvio, visto che non fa che utilizzare metodologie e attitudini già decodificate e metabolizzate da decenni e dunque oramai per natura conservatrici. Ma non dovrebbe essere la composizione il vero momento di eversione? Altrimenti tanto vale scrivere un libello, non serve certo metterlo in musica. A conti fatti “I Want to Be Wrong” deve essere letta come una composizione fascistoide, conservatrice ed elitaria, in quanto totalmente avulsa dalla realtà che si muove intorno. I R.E.M. staranno pure intorno al sole, ma è sulla terra che i Bush sono da combattere, e gli uomini di Athens non sembrano sinceramente la migliore delle carte da giocarsi. Perché, esclusa la possibilità di una lettura politica dell’opera, il senso può essere rintracciato solo nel mero esercizio di commercializzazione e vendita. E allora mi permetto di dire che i R.E.M. del 2004 (ma anche del 2001) non sono per niente diversi per qualità musicali e intellettuali a una Britney Spears o a un Ricky Martin. Purtroppo temo che la parabola discendente non si fermerà qui, e che il futuro ci riserverà ancora tanti album dei R.E.M. sempre meccanicamente uguali a sé.

50/100

(Raffaele Meale)

24 ottobre 2004

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