Paolo Benvegnù (+Inlimine), Calamita di Cavriago (RE), 17 aprile 2004

Inutile mentire: aspettavo questo concerto con ansia, per quello che Paolo Benvegnù ha saputo regalare in passato, e per le bellezze che continua a dispensare. La serata è aperta dall’abatjour rock degli Inlimine: ritmi spezzati, chitarre sempre sul punto di aggredire, testi originali e l’insistita teatralità del cantante, che a lungo andare risulta un po’ forzata. È l’unico neo della loro esibizione: una musica non troppo originale, ma resa nobile dal modo in cui viene rappresentata.

Di teatralità, invece, non c’è ombra nel concerto di Paolo Benvegnù, se non nell’iniziale parlato sulle note della coda pianistica di “Brucio”; archiviati i siparietti comici degli ultimi concerti, il gruppo punta al cuore dell’emozione, con un’intensità commovente nell’apertura de “Il mare verticale”. Il concerto cresce man mano, sulle immagini di una serenità conquistata a fatica (“Cerchi nell’acqua”, “Il sentimento delle cose”): le chitarre, quella di Paolo e del tarantolato Massimo Fantoni, si cercano, armonizzandosi con la tastiera di Fabrizio Orrigo (all’inizio troppo protagonista nel ricamare sulle trame lineari delle canzoni con inopportune cineserie, poi molto più misurato).

Si alternano meraviglie vecchie e nuove: una “È solo un sogno” leggera come una notte serena; “Rosemary plexiglas” che suona come un incanto innocente, passi timidi di una bimba sulla prima neve; “Catherine”, con la sua vocalità intricata dalla quale Benvegnù esce a testa alta; “Io e te”, le frasi che chiunque vorrebbe sentirsi cantare, almeno una volta nella vita. È un concerto speciale, stasera, le emozioni arrivano senza barriere, gli applausi sembrano non voler smettere mai, e richiamano il gruppo sul palco più volte. I trascorsi più marcatamente indie si notano solo verso la fine: “Suggestionabili” è molto più tesa e dissonante, e ne guadagna; vengono riprese due b-sides importanti, una feroce “Giornalismo” e l’abbandono sognante di “In dissolvenza”.

Il tempo di riprendere fiato – una canzone scritta e cantata dal batterista, molto promettente – per ripartire con “Only for you” e per concludere con gli Scisma, mai davvero abbandonati: “È stupido”, deragliante ma priva di angoscia; e poi un attimo infinito, perdersi in “I’m the ocean” e nell’incanto totale di “Golf”. Sono estremamente di parte, lo so, ma queste canzoni sono speciali, toccano nervi e cuore, e lo hanno fatto anche in questa serata stupenda. Grazie, una volta di più.