BOB DYLAN, World Gone Wrong (Columbia, 1993)

E’ un Dylan in versione riposata quello che vive i primi anni ’90: dopo l’uscita del mastodontico bootleg suddiviso in tre cd ecco “Good As I Been To You”, album di cover interamente acustico composto in gran parte da ballate folk e da riprese madrigalesche (ballate rinascimentali).

Cresce dunque l’attesa per il nuovo lavoro del menestrello dalla voce oramai invecchiata e impegnata più a declamare e, di quando in quando, a ruggire che a sprizzare rabbia e contestazione. E “World Gone Wrong” non si discosta dal suo predecessore: altro album interamente composto da cover, altro album interamente acustico. Ma se nel primo si notava l’urgenza di riappropriarsi delle proprie radici culturali anglosassoni, qui l’omaggio dei brani ripresi va al folk-blues statunitense, come “Broke Down Engine”, scritta da quel Blind Willie McTell già protagonista di un brano di Dylan.

Sono presenti ballate del repertorio di Tom Paley, come “Jack-A-Roe”, “Love Henry”. Dylan si adatta con grande mestiere e notevole coinvolgimento a questi brani ruvidi, aspri, che mostrano l’american way of life sotto varie sfaccettature, a volte con fare nevrotico e ansiogeno (“Ragged & Dirty”, ripresa di un brano portato alla ribalta da Willie Browns), a volte immaginando spazi desertici e desolati, all’infinita ricerca della pace (la straordinaria “Blood in My Eyes”), quella pace che è sempre sul punto di arrivare e non arriva mai.

Nello scritto che accompagna questo lavoro Dylan dichiara di aver scoperto “Two Soldiers”, struggente e malinconica canzone di guerra, grazie al consiglio di Jerry Garcia (Dylan divise il palco di un mini tour con i Grateful Dead, sul finire degli anni ’80, arrivando anche a pubblicare un album live, purtroppo curato con sciatteria… un’occasione sprecata).

In definitiva “World Gone Wrong” dimostra come il periodo di maggior fulgore creativo sia oramai perduto – lo dimostrano il susseguirsi di album di cover e di album dal vivo -, lasciando a questo incredibile cantautore solo alcuni, deliziosi, colpi di coda, come “Oh Mercy” e “Time Out of Mind”.

E’ un uomo in viaggio, Dylan, scivola via da un palco all’altro, sera dopo sera, ininterrottamente da anni. Le sue radici sono queste, qui raccolte e cantate, e lui ce le regala. Un’operazione inutile? Forse. Ma grazie, veramente.

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