TEMPO DE MAL, Alienazioni (Alienazioni/Spindle Records, 2002)

Vengono dal modenese i Tempo de Mal, terzetto composto da Dido (voce), Matteo (chitarra, basso, tastiere, percussioni e campionamenti) e Giova (batteria, percussioni e effetti), ma musicalmente vengono da molto più lontano.

Il loro suono è un miscuglio di punk, noise, elettronica e post-rock, e quest’album, uscito per Alienazioni (casa discografica sorta nel 1998 proprio intorno alla musica dei Tempo de Mal), ne è la lente d’ingrandimento ideale. Un prodotto interessante dunque fin dalle sue radici, anche se forse a grave rischio d’imitazione.

L’attacco è dato da “Alienazioni”, brano in cui convivono divertissement ad effetto (le voci registrate, qualche campionamento), un’attitudine dark, prodotta soprattutto dall’uso del basso, e idee che ricordano i Marlene Kuntz (nel testo) e gli Afterhours (la voce con effetto megafono). Più immediati suono e melodia della seguente “Vicino irraggiungibile”.

Pur preferendo atmosfere caustiche e selvagge, i tre non disdegnano pause di riflessione catartica, con digressioni melodiche, come nella strofa dell’ottima “Abitudini”. Dicevo prima del rischio dell’imitazione, ostacolo nel quale i ragazzi incappano con “A’hara”: dire che assomiglia ai Nirvana è realmente sminuire il proprio udito! Praticamente il ritornello è la strofa di “Heart-Shaped Box”.

Un incidente di percorso, comunque, per il resto la band mostra di saper tenere a bada la tentazione di riprendere da chi la ispira e crea interessanti progressioni ritmiche come la lunga composizione “Quello che sono”, che si apre, dopo un frastuono brevissimo, su una chitarra distorta e una vocetta simil-pop: ma arriva quasi subito la voce profonda di Dido, mentre la chitarra appare più pulita. Il ritornello ricorda molti lavori di Fugazi e Blonde Redhead, prima che il tutto ripiombi nell’attacco, prima che si torni all’accenno pop che ora accompagna anche il recitato, fino all’allargarsi della melodia con un sapiente delle tastiere. Praticamente quello che succederebbe incrociando le digressioni chitarristiche dei Sonic Youth con la profondità di Joy Division e Cure. Fondamentale in questo pezzo la batteria, che segna i tempi e crea le atmosfere soniche adatte alla situazione, prima di un’improvvisa, pazza, assurda caduta in una sorta di follia elettronica spiazzante e coraggiosa, techno che grazie ad una dissolvenza diventa caustica crudeltà noise.

Ecco, “Quello che sono”, a mio parere, vale l’ascolto della band modenese, che deve migliorare certi aspetti (spesso i cambi di ritmo nei brani sembrano forzati dall’ideologia che li guida, a volte si ha l’impressione del già sentito – oltre ai gruppi già citati appare chiaro l’ascolto di un gruppo come i Six Minute War Madness), ma che mostra interessanti capacità e rassicurante personalità.

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