Intervista con gli Almamegretta

almamegretta

COLONIA SONORA (COLLEGNO, TO) – 27 GIUGNO 2002
“Colonia Sonora”, uno dei festival che surriscalda la movida estiva ai piedi delle Alpi, questa sera è sedotto da good vibes che si propagano nell’etere per arrivare a scorrere sotto pelle senza possibilità di resistenza alcuna: sono quelle degli Almamegretta, gruppo di origine partenopea e respiro internazionale.

L’esordio con l’album “Figli di Annibale” è un ricordo scivolato lontano nel tempo, dieci anni esatti durante i quali il gruppo di Raiz ha percorso a tutta velocità un cammino fatto di tradizione, ricerca e sperimentazione. Un mix di sonorità che scivolano tra il calore del reggae e l’intensa ritmica dub, filtrate da collaborazioni ragguardevoli, come quella con Ben Young dei Massive Attack, produttore del secondo disco.

Questa sera la band conquista il proprio pubblico in un percorso che conduce da “Gramigna” a “Fattalà”, da “Sanacore” a “Rubb da Dubb”, senza che gli innesti di elettronica raffreddino la carica vitale dal sapore tutto mediterraneo.
E, una volta spente le luci sul palco ed alzato il volume della musica in diffusione, è Gennaro, batterista e parte del nucleo fondatore, a ritrarre per noi quest’anima migrante (traduzione, appunto, di Almamegretta).

L’ultimo album “Venite Venite!” è un live: cos’ha di particolare, come lo avete realizzato?
E’ un live antologico, nel senso che abbiamo preso tutto il nostro archivio, ormai abbastanza ampio e fatto soprattutto di DAT, cioè registrazioni fatte direttamente su due canali, left e right, quindi su cui poco puoi intervenire in sede di post-produzione.
Abbiamo fatto questa scelta perché volevamo fare un album antologico che cercasse di riassumere la nostra carriera live, infatti ci son registrazioni che partono dal ’96 fino all’anno scorso. E’ stato molto difficile scegliere i pezzi… sai è come quando tu hai dei figli e devi escluderne qualcuno!
Inizialmente lo volevamo fare doppio, poi con la casa discografica si è deciso per un solo disco, ma abbiamo cercato di dare un’immagine quanto più fedele di quella che è stata la nostra carriera live durante questi dieci anni.
E in più ci sono questi due inediti che abbiamo realizzato in studio quest’anno.

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A proposito di studio… il live presuppone certo una preparazione, ma resta un momento di immediatezza. A questo si contrappone il lungo lavoro che sta dietro la realizzazione di un disco, ma se vogliamo anche di un video…
Infatti, non solo i video, pure quando fai i dischi in studio.
La nostra attività è fare musica più che video, i video sono un veicolo promozionale che il più delle volte servono a pubblicizzarti meglio. Quando vengono bene ti riconosci e sei contento di come son venuti, ma non sempre è così.
Mentre per i dischi chiaramente c’è una preparazione molto maggiore, ad esempio con la pre-produzione. Ci sono vari metodi di lavoro che addirittura a volte durano pure anni.

La domanda classicissima a questo punto sarebbe “per voi come nasce un pezzo?”
Come nasce un pezzo? Non c’è un metodo particolare… alle volte da una linea di canto, alle volte da una ritmica di batteria, altre volte da un campione. E’ un work in progress, ci passiamo la palla tra di noi e alla fine arriviamo al prodotto completo.

Ed è un prodotto che ha sempre proposto una musica a 360°!
In questo periodo l’attualità è satura dei concetti di globale ed internazionale… vi ho sempre pensati come globali in senso musicale, ovviamente: per il vostro guardare con occhio imparziale ad influenze che vanno dall’etnico, all’elettronico, al jazz… Ma come avviene questa ricerca di sonorità, anzi, come fate ad orientarvi?
Il nostro progetto parte proprio da una scommessa di contaminazione fra generi musicali e culture musicali diverse, nel senso che siamo partiti dall’utilizzare delle ritmiche di provenienza soprattutto black music, cioè reggae o funky, per tenerle insieme con quelle che sono le nostre radici un po’ più ancestrali, che sono più che nella nostra mente nel nostro… stomaco potrei dire! Quindi proprio come fatto molto fisico.

…nel vostro DNA!
Nel DNA, esatto. E quindi quella che è la cultura mediterranea in generale e un po’ più in particolare la cultura napoletana. Se tu fai caso alla melodia araba, ci sono un sacco di cose che somigliano alla melodia classica napoletana.
Noi siamo coscienti di questo patrimonio, che è enorme, e invece di farci opprimere da questa cosa abbiamo cercato di utilizzarla e rileggerla ai giorni nostri.
E’ una scommessa che cerca di viaggiare sia geograficamente che temporalmente, nel senso di mettere insieme cose che vengono dal passato con cose di oggi, ma pure cose che si proiettano nel futuro, come l’elettronica.

Visto che ormai stiamo parlando a livello internazionale, cosa c’è da invece da ascoltare secondo te in questo momento?
Sulla scena internazionale… non ci sono cose che ci sorprendono. Voglio dire, le cose nuove, almeno per noi e che ci hanno formato, sono state prodotte durante gli anni ’90.
Credo che oggi ci sia un grande contributo alla musica dai cosidetti “non-musicisti” cioè da dj che manipolano determinate cose già esistenti e che vanno a diventare un prodotto nuovo, aggiornato. Ad esempio, ultimamente c’è una compilation della Verve, un’etichetta jazz molto importante, che ha messo a disposizione di questi dj le linee vocali di cantanti jazz donne, tipo Billie Holiday, Ella Fitzgerald… Hanno remixato questi pezzi ed il prodotto è molto bello, molto interessante, aggiornato ai tempi e dimostra che comunque quei brani sono sempre vivi, il tempo che passa non scalfisce il loro valore e la loro bellezza.

Ora però mi viene da pensare a gruppi come i Planet Funk, anche perchè sono in parte napoletani come voi, che dalla scena italiana sono riusciti a conquistare quella europea muovendosi “dal Mediterraneo alla Manica”.
Che ne pensi di questa conquista?

I Planet Funk ci piacciono molto, Rino [Raiz] ha collaborato cantando in un pezzo, poi li conosciamo da diverso tempo. Apprezziamo molto quello che fanno. Il loro lavoro è stato importante perché parte da Napoli e riesce a dialogare con Londra, per esempio. Hanno uno studio da diverso tempo a Napoli che comunque è stato un punto di riferimento non solo per la musica della città: c’è un rapporto preferenziale con Londra ed è punto di riferimento per diversi artisti anche non italiani.

E della scena underground nel Sud Italia che mi dici? Ci sono delle novità, fermenti particolari?
Non lo so, non mi pare ci siano cose interessanti attualmente… O almeno, ci sono ma non sono nate ieri! Tipo i Sud Sound System nel Salento o i 24 Grana a Napoli, ma negli ultimi tempi proprio ultimissimi non mi viene in mente niente. Sicuramente c’è molto fermento, però diciamo che il capitolo successivo a quello scritto negli anni ’90 deve essere ancora scritto.

Ed in attesa che questo capitolo ci sorprenda (o forse chissà deluda), lasciamo Gennaro ed i suoi al lungo tour per la penisola, ancora pervasi dalle vibrazioni di un sound inconfondibile, senza confini eppure così equilibrato.

(Samantha Colombo)

5 luglio 2002