PAUL MCCARTNEY, Driving Rain (EMI, 2001)

Da quanto tempo il vecchio Macca non era così in forma? Bisogna tornare al 1989, anno di “Flowers in the dirt” e della corroborante collaborazione con Declan Mac Manus – alias Elvis Costello – il quale fungeva un po’ da John Lennon della situazione con i suoi testi stimolanti e corrosivi e le sue melodie mai troppo lineari.

Fin dai primi album dopo Beatles, Uncle Paul si è sovente lasciato andare a certe sdolcinature musicali, finalmente libere di uscire impudicamente allo scoperto senza passare dalla censura/cesura messa in atto da John, George e Ringo. Ora però non si tratta di parlare della straordinaria chimica esistente tra i Fab Four, ma di un artista che conduce una carriera più o meno solista da oltre 30 anni e che ha portato avanti, quasi sempre con successo, la sua visione di un pop-rock melodico di gran classe, ovviamente figlio di quei dieci anni di Beatles, ma anche sempre più maccartiano, riconoscibile nel bene e nel male. Paul non ha più avuto lo stimolo di scrivere canzoni come “Helter skelter”, “Why don’t we do it in the road?” o “I’ve got a feeling”, la competizione intestina con altre grandi personalità si è chiusa nel 1970. Da quel momento in poi, il celebre bassista non ha incontrato più filtri e resistenze, se non quelle con sé stesso. E’ così che sono nati dischi qualitativamente differenti, belli come “Band on the run”, incompleti quanto affascinanti come “Ram”, gracili come “Press to play”.

“Driving rain” si staglia nella discografia (e soprattutto nella vita) di McCartney come una grande montagna. E’ il primo lavoro del dopo Linda (a pensarci bene, quanti “dopo” ci sono già stati per Paul!), l’amatissima moglie deceduta due anni orsono. In questo lasso di tempo, l’artista è passato dal dolore lacerante della perdita all’inaspettato (?) nuovo amore per la molto più giovane Heather Mills. “Driving rain” fotografa una nuova urgenza di raccontare ed una rinnovata vena compositiva, sicuramente stimolata da avvenimenti tanto diversi quanto sconvolgenti. Si nota una tremenda urgenza di raccontarsi e di sperimentare nuove strade, ancora una volta. “Spinning on an axis” e “Rinse the raindrops” descrivono il nuovo McCartney, raramente così dilatato oltre gli usuali schemi pop dei 3/4 minuti, sfiorando addirittura atmosfere prog-soul nella saltellante e nervosa “Spinning…”, scritta assieme al figlio James.

Anche il singolo “From a lover to a friend” (la richiesta a Linda di poter amare ancora) risulta limpido nella prima parte, per poi screziarsi e diluirsi in un’onirica preghiera di grande effetto. Il nuovo amore è celebrato nella solare “Heather”, mentre la title track è semplicemente memorabile, una silly song à la “Hello Goodbye” con l’incisività cattiva di un altro Zio Paul, Weller. E ancora, “Tiny bubble”, una gemma che potrebbe risiedere tra le eleganze scontrose Xtc (quelli di “Nonsuch”) e che fa volare la fantasia su ipotetiche meraviglie scaturite da un triangolo con la premiata ditta Partridge & Moulding. Il masterpiece dell’album si nasconde dietro il titolo di “Your loving flame”, ballata toccata dal genio musicale, romantica ed emozionante, ma mai sguaiata e sopra le righe, un vero nuovo classico nello sterminato repertorio dell’ex Beatle.

E sembra proprio che con “Driving rain” McCartney abbia voluto ricordare a tutti (in primis a sè stesso) che la leggenda dei 4 non è ancora stata raccontata interamente e che un nuovo capitolo si è aperto. Sgt.Pepper è sempre tra noi: finché sarà così, non ci sentiremo mai dei Cuori Solitari.

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