KEITH JARRETT / GARY PEACOCK / JACK DEJOHNETTE, Inside Out (ECM, 2001)

Keith Jarrett spezza la serie di raffinate rivisitazioni di standard con un album di inediti. Resta comunque in vigore la formula degli ultimi anni: il trio – con i fedelissimi Peacock e DeJohnette – e l’incisione dal vivo, questa volta alla Royal Festival Hall di Londra. Forse questi sono i motivi per cui le improvvisazioni di “Inside Out”, anche se inedite, hanno molto in comune con i gloriosi brani jazz proposti dal trio negli ultimi anni: le nuove composizioni somigliano a standard a cui manca il richiamo della melodia famosa, ma in cui comunque si riconoscono ancora quei modi, quelle dinamiche, quei suoni che abbiamo già avuto modo di apprezzare ed assimilare nei brani storici suonati così divinamente dai tre musicisti. In un certo senso siamo di fronte a standard jazz ‘rivoltati come un calzino’ (come suggerisce il titolo dell’album e lo stesso Jarrett, con altre parole, nelle note del libretto) per mostrarne il contenuto, la materia.
“From The Body”, il lungo pezzo d’apertura, è strutturato in più parti (costante delle grandi e famose cavalcate pianistiche di Jarrett) caratterizzate ognuna da una particolare situazione musicale. L’improvvisazione è sempre misurata, mai troppo ridondante, e talvolta si ha anche l’impressione che emerga una sorta di tema principale, ma il trio qui non punta a trasmettere melodie o temi musicali, piuttosto a infondere atmosfere ed emozioni slegate dalla concretezza di una melodia. Lo suggerisce Jarrett nel libretto del CD: “Dov’è la forma? Non chiedertelo. Non pensarci. Non anticipare. Semplicemente: partecipa. E’ tutto lì dentro, da qualche parte. E poi, improvvisamente, prende forma da sola”. Libertà di ideazione legata al momento quindi, ma da ogni istante emerge il frutto di una profonda maturazione. Le situazioni cambiano in “Inside Out” e “341 Free Fade”, ma la forma resta sempre quella del susseguirsi, sfumato, di stati d’animo. Si alternano in questo modo momenti più delicati e melodici ad improvvisazioni ‘free’ più agitate, a complesse elaborazioni armoniche tipiche dell’universo Jarrettiano, che comprende il jazz ma non solo. “Riot”, il più breve degli inediti, è una dissertazione ritmica che mostra un risvolto del trio quasi ‘rock’ (d’altra parte già negli eroici anni ’70 la musica del pianista mostrava certe parentele con il rock), e chiude il disco una chicca che è una non-sorpresa, la classica eccezione che conferma la regola: un’esecuzione da brivido (come sempre forse, ma ogni volta è un’emozione nuova, una magia) dello standardone “When I Fall In Love”. La quadratura del cerchio.

“Inside Out” è quindi un disco non facilissimo, comunque godibile anche perché suonato con la grande delicatezza che il trio ha sviluppato negli ultimi anni assieme ad un suono cristallino che nel tempo è diventato più essenziale e diretto. Un’altra gemma per gli intenditori, un piccolo/infinito passo verso il cielo, compiuto da Jarrett assieme ai suoi grandi compagni a bordo di quel treno che nel terzo millennio, ancora, porta avanti il nome del jazz.

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