BEN HARPER & THE INNOCENT CRIMINALS, Live from Mars (Virgin, 2001)

Ben, ti fai produrre da un famoso d.j.? “No!” Ben, ci mettiamo un po’ di elettronica? “No!” Che ne dici di un campionamento qui? “No!” E di un sintetizzatore lì? “No!”. Ben Harper è come il prosciutto buono della pubblicità: schietto, genuino e non sofisticato, è il paladino di una musica viscerale, suonata con pochi strumenti e tanta passione. E’ quindi normale che la sua dimensione ideale sia quella dal vivo, come sanno quelli che l’hanno visto: seduto su uno sgabello, le mani che fanno correre lo slide sulla vecchia Weissenborn, Ben porta sangue e calore nella cornice del concerto rock, attingendo direttamente alla fonte del blues, al Mississipi. Ma Ben è tutt’altro che un puritano: se le vibrazioni sono buone, se una sequenza di accordi può colorare la sua vecchia chitarra, Ben non si fa scrupoli nello spaziare dal folk bianco al soul più sensuale, dal rock hendrixiano al funky, fino alla canzone pop.

Tutto questo si trova in questo ricco piatto live: l’album è diviso in due cd, un disco suonato assieme alla band, gli Innocent Criminals, e uno da solo, avvinghiato ai piccoli accordi di una chitarra acustica; due diversi modi di parlare al pubblico, col filo conduttore dell’immediatezza e della semplicità. Basterebbe dare un’occhiata alle cover sparse sui due dischi per capire come a Ben importi solamente delle good vibrations, in barba alle etichette: c’è una scarna ed efficace “Sexual Healing” di Marvin Gaye; c’è il classico zeppeliniano “Whole Lotta Love” che nasce quasi spontaneamente, quando “Faded” ribolle e si arroventa fino ad arrivare al punto di fusione; c’è perfino “The Drugs Don’t Work” di Richard Ashcroft, che nella dimensione acustica, solitaria, sembra una dolorosa confidenza sulle note di una canzone pop.

Maestri e influenze diverse, che Ben riesce a mescolare miracolosamente nei suoi brani migliori: clamorosa è “Woman in You”, dove il falsetto soul viene spezzato da brucianti scariche distorte. Tutto il primo cd si attesta sui medesimi livelli e temperature: da “Mama’s Got a Girlfriend” ai brani più recenti, Ben dà la scossa a un pubblico in visibilio (ascoltate i cori su “Burn One Down”), aiutato dalla band e dai due incredibili “beatbox umani” Nick Rich e Rahzel.

Nel secondo disco le cose cambiano: con Ben da solo con la sua chitarra, la dimensione si fa più che intima, arriva quasi a stridere nel contrasto con il caldo set elettrico. Ben si fa pensieroso, sussurra e sfiora appena le corde, alla ricerca di un dialogo silenzioso con un’audience forse troppo rock, troppo entusiasta per adattarsi al cambiamento di tono. Le canzoni scorrono placidamente, con la track list che inizia e finisce con brani tratti dal primo album, l’indimenticabile “Welcome to the Cruel World”.

Conclusioni: due ore di passione e intensità, equamente distribuite fra l’elettrico e l’acustico; se aggiungo che la confezione è molto carina, fatta come quella di un vinile e piena di foto, e che l’album doppio costa come un singolo, bè, fate due conticini, e decidete se comprare “Live from Mars” o il prosciutto senza conservanti.

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