[my2cents] I soldi sono finiti ok, e quindi?

Come tutti sanno, siamo in una fase delicata: dopo la cosiddetta “prima ondata” di Covid, in estate qualcosa si era assestato e anche qualche concerto si era riuscito a tenere, per cui – pur sempre in un quadro generale di difficoltà estrema degli operatori della musica – qualche passo in avanti si era fatto. Certo con numeri esigui dovuti al distanziamento, iniziando a pensare (esperienze estere, a mia conoscenza) a differenti modalità come quelle dei drive-in, insomma con una serie di barriere che certamente limitavano gli introiti, sia per gli organizzatori che per i musicisti, però con una prospettiva di miglioramento.

Questa second wave in fieri, in molti Paese europei già in rampa di lancio e qui in Italia più sottotraccia, è tornata indubbiamente a far sprofondare il settore. Del resto era anche abbastanza ovvio che ci sarebbero state più difficoltà nell’organizzazione di concerti al chiuso rispetto a quelli all’aperto estivi, e i numeri sarebbero stati irrisori anche senza le nuove paure che sono emerse in questo mese di settembre. Ma l’incertezza dell’avvenire sta diventando davvero drammatica.

In questo contesto in questi giorni mi è capitato di leggere due articoli in tema: uno è quello di Encore Musicians, piattaforma di booking britannica, che ha stimato che il 64% degli artisti professionisti inglesi pensa di cambiare lavoro (qui il link all’articolo su Metalitalia), e l’altro è la rubrica di Cristiano Godano su Rolling Stone (“Fanculo Internet che impoverisce il 99% dei musicisti“), che peraltro cita proprio la survey di Encore Musicians (nel rilancio di NME).

Da appassionato musicale la mia valutazione è di estrema preoccupazione, però a 360°. Posto che non mi piacciono le recriminazioni corporative (o, meglio, le comprendo, ma tutti gli esterni devono riportarle su binari più generali) credo che ancor più che i musicisti – in quest’epoca COVID – siano angosciati i gestori dei locali e diciamo tutto il business che gira intorno all’organizzazione dei concerti. Questo perché i gestori dei locali hanno dei costi fissi ineliminabili (i canoni di locazione) che ho paura che non siano sostenibili se per tutta la stagione autunno/inverno/primavera 2020/2021 non si potranno tenere concerti (e questo purtroppo è lo scenario). Ci si deve aspettare quindi una serie di chiusura di locali che seguiranno quelle già avvenute, come a Milano è successo per l’Ohibò, il Serraglio e il Blues House. Speriamo limitate, ma davvero non riesco a pensare come faranno quegli sfortunati gestori. L’emergenza sanitaria chiuderà un’epoca per molti storici locali che ospitano concerti da tempo? Forse. Mi piange il cuore (e questo a livello emozionale diretto) a pensare a quelli che ho frequentato. Ma, in un’ottica generale, non voglio rassegnarmi che tutti i mali vengano per nuocere: credo che, appena si potrà, i luoghi per i live si riapriranno immediatamente, con vecchi o nuovi gestori, proprio come risposta di vitalità a un’esigenza insopprimibile. E magari queste nuove persone porteranno idee nuove e modi di stare insieme diversi. Per cui sono ottimista sul fatto che ci saranno sempre spazi per suonare, quanti (se di più o di meno) non lo so, ma non oso immaginare un mondo con pochi luoghi dove ascoltare musica dal vivo. Non è però una prospettiva che sia di gran conforto per chi oggi lavora in questo ambito, questo è innegabile.

Circa invece gli altri profili sollevati da Godano nel suo articolo, questi aprono a questioni enormi (lo streaming e gli introiti dei musicisti per la fruizione della loro musica) che noi di Kalporz stiamo affrontando in altra collocazione rispetto a questa rubrica #my2cents, con piccoli articoli ma autorevoli (per i personaggi coinvolti) per ragionare di questi temi complessi. Perché di certo non saranno strali corporativi a risolvere le questioni e nemmeno “fatwe” assurde contro Internet, posta l’impossibilità di limitare Internet per la sua stessa natura intrinseca (a meno che si abiti in Cina). Anzi, la risposta a Godano che afferma che “si sarebbe dovuto regolamentare Internet” è che invece lo si è fatto: si sono chiusi Napster, Kazaa, e soprattutto Megaupload, si sono combattute delle battaglie di legalità (secondo la logica del diritto d’autore), ma la realtà (e il principio di realtà è qualcosa che va accettato, non ci può sottrarre) è che sono sempre spuntati altri siti/applicazioni che facevano le stesse cose. E’ internet, è così. Il diritto d’autore non esisteva prima che esistessero i supporti fisici che inglobassero la musica, ora siamo tornati in una fase del genere, perché la Rete ha reso liquido quel diritto. Quello che però voglio sottolineare è che la Rete mica solo ha impoverito i musicisti: ha disintermediato tantissimi servizi con il risultato di rendere perfino del tutto obsolete alcune altre professioni: pensate agli agenti immobiliari o alle agenzie viaggi ora che le informazioni su immobili da vendere/comprare o locare oppure su hotel da prenotare sono a disposizione direttamente dei clienti senza intermediazione. Ma si potrebbero fare tantissimi esempi.
Insomma, Internet esiste e non si può far finta che non lo sia o pretendere che lo si regolamenti d’imperio come in regimi dittatoriali.

Mi spiace per le difficoltà di remunerazione degli artisti, ma queste vanno risolte all’interno di Internet, non mandandolo affanculo. Con proposte, non con invettive. Ad esempio: perché non far partire un movimento che propugni una quota minima di diritti d’autore di streaming? Una sorta di “paga base” che esiste per tanti lavori e che è garantita dai contratti collettivi per gli stipendiati e da leggi come l’equo compenso per alcuni autonomi (vedi avvocati). Un corrispettivo minimo e dignitoso. Non quelle briciole (irrisorie e sostanzialmente pure irridenti) che pagano oggi Spotify e gli altri servizi di streaming affini. Magari tali compagnie non accetteranno a quel punto di rendere disponibili sulle loro piattaforme tutti, ma almeno quelli che sceglieranno avranno un compenso minimo. E così avremmo pure la risoluzione al problema odierno di iperproduzione musicale (perché poi bisogna dire che le possibilità della Rete hanno d’altro canto facilitato molti più musicisti amatoriali ad arrivare a produrre in modo professionale, a proporsi direttamente e facilmente ai giornali e agli altri mezzi di comunicazione, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti circa l’esistenza di una proposta musicale superiore a quella della richiesta del pubblico).

Così ogni musicista che si rispetti potrebbe avere di che mangiare. Non sarà una prospettiva esaltante, ma coerente con quanto è avvenuto per tanti secoli. A parte una parentesi nel Novecento in cui si sono raggiunte anche delle esagerazioni come quelle lamentate proprio da Nick Mason dei Pink Floyd, che è imbarazzato per la sua ricchezza , l’arte non mi pare infatti sia mai stata (purtroppo, aggiungo) il mezzo per farsi le budella d’oro. Mozart è stato sepolto in una fossa comune, tanto per dire.

(Paolo Bardelli)

1a foto: by Camilla Lundby