ADRIANNE LENKER, “Bright Future” (4AD, 2024)

Quasi quattro anni dopo la sua ultima prova solista Adrianne Lenker ritorna con un disco che come i precedenti mette in mostra la sua sensibilità nella scrittura e il suo estro nel creare melodie originali e imprevedibili. Registrato, come il precedente, in presa diretta, con la collaborazione e la produzione di Philip Weinrobe, Bright Future contiene anche diversi brani già eseguiti coi Big Thief nel corso dei loro tour più recenti ed è la fotografia candida e sincera di un periodo d’ispirazione artistica vivido e spontaneo della cantautrice.

Possiamo considerare i percorsi di Adrianne Lenker e dei suoi Big Thief come un unico, largo e variegato sentiero: è una strada nella quale le tappe soliste di Lenker sono un contrappunto di quelle del gruppo; esse si solidificano e si modificano insieme, dialogano e si confondono volutamente tra loro perché fatte della stessa essenza, vale a dire della sensibilità e dell’inconfondibile tocco con cui la cantautrice statunitense confeziona le composizioni che entrano a far parte delle singole opere. Capita, infatti, che alcuni brani che fanno parte degli album solisti di Lenker siano già stati eseguiti con il gruppo dal vivo e che altri possano entrare successivamente nelle sue scalette. Anche quelli che restano unicamente nella cornice del percorso solista di Lenker sono costruiti con la stessa materia di quelli scritti e pensati per essere incisi dalla band. Questo proficuo dialogo anima anche Bright Future, un album scarno e diretto per scelta, nel quale ci sembra di essere al fianco di Lenker e dei suoi musicisti mentre sta incidendo i singoli pezzi.

Come le tessere di un antico e prezioso mosaico i brani di Bright Future, con le loro sottili e al tempo stesso illuminanti rivelazioni e con il loro lento disvelarsi alle orecchie di chi li ascolta, intrattengono immediatamente un dialogo con i precedenti pezzi del puzzle che Lenker ha disseminato negli ultimi anni nei suoi lavori e progetti. L’apertura del disco “Real House” prosegue il discorso che aveva tracciato songs: «I’m a child humming / Into the clarity of black space», canta, quasi con un sussurro, Lenker. Il brano sembra galleggiare nell’aria in modo immateriale e incerto, procedendo a tentoni nel buio grazie all’interpretazione e alla delivery di Lenker, così spoglia e diretta, che si appoggia quasi faticosamente alle note occasionali e discontinue del pianoforte, unico strumento qui presente. La maggior parte delle canzoni di Bright Future è costituita da chitarra, pianoforte e violino; subentrano di tanto in tanto le percussioni, particolarmente semplici ma efficaci; tutto dà l’impressione di essere stato inciso spontaneamente, sull’onda dell’entusiasmo e grazie all’eccellente intesa tra Lenker e i musicisti che qui la affiancano, che sono Weinrobe stesso, Mat Davidson, Nick Hakim, Josefin Runstee e occasionalmente anche Noah Lenker, fratello di Adrianne.

La profondità dei testi e l’originalità melodica di Lenker brillano anche in Bright Future. Alcuni leitmotiv del suo cantautorato emergono anche qui in tutta la loro schiacciante complessità e sono trattati, come sempre fa Lenker, in modo autentico e genuino. La scoperta che l’amore può anche condurre al male se percorso e letto come non si dovrebbe è ciò attorno a cui ruota “Evol”, che richiama il titolo di un grande disco dei Sonic Youth; gli arpeggi pianistici su cui la voce di Lenker si staglia con convinzione squarciano il velo delle ipocrisie e delle vuote apparenze che spesso si costruiscono intorno all’amore. «”Love” spells “evol” backwards, people», comunica inmediatamente Lenker in un brano che pian piano diviene una filastrocca dolcissima che il violino punteggia e che, tuttavia, nasconde un messaggio per niente rassicurante. «You have my heart, and I want it back», prosegue la cantautrice, chiarissima in questo concetto, prima di offrire all’ascoltatore qualche altro enigma creato pronunciando al contrario alcune parole. «The giver takes, the taker gives», continua, mentre il pezzo è diventato a tutti gli effetti una nursery rhyme diabolicamente spiazzante che non rinuncia, però, a essere schietta in alcuni momenti.

Una sorta di gioco di parole è anche il titolo “Donut Seam”, che è semplicemente un’eco distorta di ciò che effettivamente dice il refrain del pezzo: «Don’t it seem like a good time for swimming / Before all the water disappears?», canta Lenker, accompagnata dalla voce di Hakim, con tono sommesso e fragile. Il pezzo, pur etereo e rarefatto nella sua graziosissima melodia, sembra prefigurare la fine del mondo come già aveva fatto “Real House” mentre descriveva una sensazione provata da una giovanissima Lenker di fronte al primo film che l’aveva spaventata. «This whole world is dying», canta Lenker mentre sembra mettere in parallelo i problemi climatici del nostro pianeta e quelli di una relazione sentimentale se non, addirittura, descrivere l’impossibilità di una qualsiasi relazione amorosa in un contesto così delicato e drammatico. Non si rinuncia, tuttavia, a un carpe diem ecologico perfettamente in linea con la filosofia dell’autrice: di fronte ai drammi che vediamo ogni giorno la risposta migliore è proprio quella di godere appieno di ogni singolo istante senza, però, rinunciare alla consapevolezza che tutto è fragile e destinato a perire. Solo l’atto del baciarsi, come nel mondo antico, potrebbe apparentemente osare sfidare l’eterno, come certifica la conclusione, «One more kiss, one more kiss to last the years», che sembra richiamare un noto carmen catulliano.

Ad alimentare il fitto e proficuo dialogo tra i lavori solisti di Lenker e le uscite dei Big Thief di cui si è parlato sopra è anche la presenza nel disco di una versione alternativa di “Vampire Empire”, il visionario ed energico folk rock pubblicato in una forma altrettanto “primordiale” un anno fa dai Big Thief. Lenker qui recupera la parte finale di un verso che talvolta veniva cantato dal vivo ma che nella precedente incisione era stato tagliato: «In her vampire empire I’m the fish and she’s my gills», canta Lenker non rinunciando a questo particolare concreto e meravigliosamente disorientante all’interno di un brano romantico che sembra tutto fuorché una canzone d’amore, prima di concludere il chorus con quello sfogo liberatorio e vulcanico che ha reso il pezzo uno dei più amati dai fan dei Big Thief. Non fa eccezione anche il brano che chiude il disco, “Ruined”, anch’esso eseguito dal vivo, benché di rado, col gruppo, ennesima sintesi della Lenker autrice per sé e per la band: una melodia onirica si eleva dagli accordi di piano, strumento che non era mai stato così al centro in un lavoro di Lenker prima di oggi, e la voce prova a farsi strada in questa nebbia. Lo sforzo e le difficoltà sembrano insuperabili, ma è il sentiero stesso, anche se oscuro, anche se in mezzo ai rovi, a rendere sopportabile la fatica e il dolore: «So much coming through, every hour too / Can’t get enough of you / You come around, I’m ruined», canta Lenker sofferente. Soltanto la musica e la terapia che può offrire, che attraversano, come un viaggio nel tempo, l’infanzia, la giovinezza, le relazioni finite e i lutti, sono in grado di lenire il dolore che ci perseguita e di farci accettare il fatto che tutto, noi in primis, è destinato a passare.

(80/100)