The Old Oak La vecchia quercia è l’ultimo film di Ken Loach ed è il simbolo del Regno Unito. Ma è anche il luogo dove Robin Hood dimorava con i suoi sodali nella Foresta di Sherwood.
Un uomo, un regista, un’umanista, un attivista, che dal suo primo film Poor Cow (1967) ha raccontato storie di povera gente (con i suoi problemi economici, sociali, anche di violenza domestica sulle donne), o di sanguinose guerre civili (irlandese, spagnola, ecc.).
Del resto nella sua vita ha fatto sempre parte delle sinistre, come laburisti ed altre formazioni, uscendone volontariamente o fatto fuori da gente che ipocritamente non curava gli interessi delle classi meno abbienti (Tony Blair e Keir Starmer).
Ha preso premi per i suoi film come Il vento che accarezza l’erba (Cannes 2006) o Io Daniel Black (Cannes 2016) e per la sua carriera il Leone d’oro a Venezia nel 1994, il Pardo d’oro a Locarno nel 2003 e l’Orso d’oro a Berlino nel 2014. Ancora, in questo speriamo non ultimo suo film, colpisce per la sua coerenza e fa commuovere tutti gli spettatori più sensibili.
Una globalizzazione che ha perseguito solo il profitto ed ha desertificato intere aree produttive europee, con paesi ormai fantasmi, che contengono le persone rimaste al limite della sopravvivenza.
La storia è quella di un uomo buono T.J. Ballantyne (Dave Turner), proprietario di un Pub in un paese della Contea non metropolitana di Durham (nord est inglese), che all’arrivo di profughi (donne e bambini, gli uomini stanno ancora morendo in Siria) cerca con l’aiuto di una volontaria sociale di fornire un pasto (una o due volte a settimana) agli stranieri ed anche ai bisognosi locali.
Un significato molto diverso, più politico ed impegnato di un’epoca in cui si tentava (forse inutilmente) di cambiare quel corso dell’economia, con i risultati attuali, oggi sotto gli occhi chiusi di tutti.
Una buona dose di ideologia fa ancora bene – vuol dire Loach – e se ci emozioniamo e commoviamo vuol dire che non siamo ancora morti, come tanti.
Fortunatamente, come Ken Loach, raccontare l’intolleranza e la xenofobia, comunemente confusi con il razzismo, è l’impegno comune di vari registi sia spagnoli (Rodrigo Sorogoyen), francesi (Emmanuel Carrère), finlandesi (Aki Kaurismaki) ecc..
La fine del patto sociale con le tre classi canoniche (abbienti, middle class e proletari) ormai appiattite a livello di resistenza e sussistenza, si sta scoprendo ovunque.
Le impensabili manutenzioni di ogni tipo (murarie, idrauliche ed energetiche) che il povero Ballantyne vede allontanarsi con l’aumento dei mutui. E soprattutto la fine di quella grande partecipazione alle feste (nascite, matrimoni e funerali) che ancora sono nelle nostre tradizioni, ma sembrano ormai obsolete.
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