“Layers”, fuori il nuovo album di Khalab

Ogni persona che incontriamo, ogni momento che viviamo, tutto l’amore che proviamo e le perdite che sopportiamo, aggiungono strati all’intricato schema delle nostre vite. Come fili multicolore questi strati si intrecciano a formare un paesaggio complesso e vibrante, un riflesso del nostro viaggio di vita fino a questo punto

Nel suo nuovo album “Layers”, Khalab celebra gli incontri che hanno plasmato la sua visione musicale in perenne evoluzione. Il disco, uscito il 25 agosto per la sua label, Hyperjazz Records, rappresenta il culmine di un viaggio creativo iniziato con “Eunoto” EP (Black Acre Records, 2015), evolutosi con i paesaggi sonori afro-futuristici di “Black Noise 2084” (On The Corner Records/!K7, 2018), e che da allora si è ulteriormente sviluppato attraverso una serie di profonde esperienze e collaborazioni musicali. Il nuovo lavoro evoca tutta l’alchimia delle sue esibizioni dal vivo incarnando il potere trascendentale del fare musica come forma d’arte collettiva. 

A testimonianza della natura collaborativa dell’etichetta, la live band di Khalab include un gruppo di musicisti della famiglia Hyperjazz, tra cui David Paulis ed Enrico Truzzi dei Phresoul, oltre a Pietro Santangelo, Fabio Sasso e Nicola Guida. I nove brani presentano una line-up impressionante: il batterista e produttore britannico Emanative, il cantante, chitarrista e suonatore di kora burkinabé Gabin Dabiré, il produttore italiano Clap! Clap!, la sassofonista e produttrice Tamar Osborn, il batterista Tommaso Cappellato, la trombettista britannico-bahreinita Yazz Ahmed, da Bristol la cantante e produttrice Grove, il polistrumentista Tenderlonious, la cantante jazz Alessia Obino e l’artista spoken word anglo-nigeriano Joshua Idehen. 

“Layers” ruota attorno alle componenti chiave del suono di Khalab – l’elettronica oscura e ipnotica e la costante ricerca nel campo della black music e le sue evoluzioni – ma con maggiore enfasi sugli arrangiamenti armonici. Nelle stesse parole dell’artista: “Per me questo lavoro è come un ritorno al punto di partenza, l’orizzonte che si presenta davanti sarà ancora più inaspettato e sperimentale”. Il disco è dedicato a Gabin Dabiré, venuto a mancare qualche settimana fa. 

Foto di Giorgio Lamonica

Artwork in home di Marco Klefisch