CASS McCOMBS, “Heartmind” (Anti-, 2022)

Avevamo lasciato quel giramondo di Cass McCombs prima della pandemia alle prese con il suo massimo “esercizio di libertà”, perché in “Tip Of The Sphere” (2019) aveva scorrazzato più del solito all’interno di andamenti free, canzoni dilatate e panorami psichici e jazzati. Che è poi la bellezza del suonare insieme, e confermiamo – per averlo visto dal vivo – che il cantautore americano non è un animale solista, è un leader che primeggia in una band venendone a sua volta coinvolto e condizionato.

“Heartmind” è uscito un po’ in sordina a fine agosto e si è quasi subito perso nel marasma di pubblicazioni in cui siamo sommersi, ma sarebbe un errore non approfondirlo. E non perché Pitchfork gli ha affibbiato un bel 8.1, ma perché l’autonomia di McCombs nel rappresentare lucidamente quello che deve essere un roots attuale è certamente un’eccezione in un mondo di ciclostili. Senza perdersi troppo in campi troppo estesi (tranne che nella conclusiva titletrack, che vaga invece senza meta trasmettendo un’immediata emancipazione dalle nostre “limitate” prospettive), Cass McCombs si è concentrato maggiormente nella “forma canzone”, buttando lì come se fosse la cosa più semplice del mondo almeno tre potenziali hit: la r.e.m.iana “Karaoke”, l’esotica “Krakatau” e la semplicissima “Belong To Heaven”, un brano che potrebbe essere la gustosissima colonna sonora di un filmetto degli anni ’80 ambientato nei college, di quelle robe alla “Breakfast Club” tanto per intenderci, ma non lo si sta dicendo per diminuirne il valore, anzi: nel decennio edonista per eccellenza i film erano soliti andare a pescare canzoni di spessore ma che fossero anche catchy. Ecco, Cass è entrambe queste cose: è di spessore e, allo stesso tempo, leggero. È capace di citare la filosofia sufi in un’intervista e farlo in maniera naturale e senza sentirsi un’illuminato, bensì solo come una persona che cammina in questo mondo e che approfondisce il suo lato spirituale.

Non mancano episodi musicalmente più complessi (ovviamente in senso relativo), come l’iniziale “Music Is Blue” che giustamente qualche commentatore ha paragonato agli Wilco degli anni ’10 (periodo “The Whole Love”) e quelli più folk-oriented (“Unproud Warrior” e “A Blue, Blue Band”), che completano l’album nella sua interezza in uno spettro diversificato di sensazioni.

Inserirei “Heartmind” in un trittico di album fondamentali – nel loro genere – del 2021 e 2022, e cioè assieme a “Other You” di Steve Gunn e “(watch my moves)” di Kurt Vile, a dimostrazione che non conta quanto un genere sia datato e stratificato come è il folk-rock americano, c’entra come viene approcciato. E la sincerità musicale e apertura spirituale di McCombs è qualcosa che si fa fatica a trovare in altri artisti.

79/100

(Paolo Bardelli)