“Neon Golden”: il fiore autunnale dei Notwist compie 20 anni

Quando si parla di “late bloomer” si fa riferimento a quei fiori che non sbocciano a primavera, ma tra l’estate e l’autunno. I Notwist sembravano essere destinati ad essere una band post-hardcore come ce ne erano tante ad inizio anni ’90. “Derivativi” è l’aggettivo abusato che si appiccicava perfettamente addosso al gruppo di Weilheim.

È difficile restare incollati a qualcosa in costante movimento, ed i Notwist fermi non lo sono mai stati. Basterebbe ascoltare quanto “Shrink” (1998) ammiccava a krautrock e jazz. Quel germoglio ci avrebbe messo ancora diversi anni, di cui 15 mesi in studio, a schiudersi. A vent’anni di distanza da quel 2002 è piuttosto chiaro che “Neon Golden”, il quinto (!) album della band, è uno degli episodi più strani ed imprevedibili della storia della musica.  Da molti indicato, erroneamente, come il primo disco post-Kid A, con i Radiohead condivide solo la stratificazione della produzione e qualche momento in cui si dimentica completamente della forma canzone canonica (“One Step Inside Doesn’t Mean You Understand”). Anche i glitch e i bleep, forse invecchiati un po’ così così (ma chissenefrega), c’entrano poco gli arrangiamenti eterei di Thom Yorke e soci.

Il resto è un avvicendarsi di melodie indovinate, tra cui una memorabile “Consequence” in chiusura, un po’ fredda elettronica (neon), un po’ indie-pop caldo e intimo (golden). Un “late bloomer” di un colore meraviglioso.

(Carmine D’Amico)

“Neon Golden” dei Notwist è un must degli anni Zero, i più decisivi alla mia formazione musicale. Quando mi capita di suonare il vinile provo tanto quel calore familiare che danno le melodie rotonde tipiche del pop quanto un gusto di scoperta e novità. Già da “One Step Inside Doesn’t Mean You Understand”, dove le linee di violoncello si permeano di afflati trip-hop e misteriosi, si stabilisce un’atmosfera in bilico tra quiete e paranoia, romanticismo e freddezza glaciale: per sfuggirne l’uomo deve uscire dal suo immobilismo (“Now We Are Train Ourselves”, dalla cinematica “Off The Rails”) e fare scelte importanti per la comunità (“When Life Is A Loop/You’re In A Room Without A Door”, in “Pick Up The Phone”). Il trio bavarese ha così riscritto la definizione di indie, mandando a braccetto i sostenitori dei dEUS (“One With The Freaks”) con quelli dei Postal Service (“Pilot”), immaginando temi folk in chiave lo-fi per poi portarci in Oriente o all’epoca barocca. Pochi altri dischi hanno ricreato un identico equilibrio tra passato e presente, e tra vent’anni lo ascolteremo ancora volentieri.

(Matteo Maioli)

Nel riprendere fuori “Neon Golden” c’è un aspetto che colpisce più di tutti, ed è la volontà di amalgamare elementi apparentemente disgiunti e finanche contrastanti: l’elettronica con gli strumenti acustici, i tempi spezzati (“Pick Up The Phone”) con quelli lineari (“Pilot”, probabilmente tra le 50 canzoni più belle degli anni Zero), l’indietronica (“Off the rail”) con il folk (“Neon Golden”) in percorsi intrippanti da post-triphop (“This Room”). E’ come se la band tedesca si fosse affidata ciecamente alla sperimentazione con una fiducia che strabordava in fede cieca. Non vorrei attirarmi troppe critiche dicendo che oggigiorno pare alle volte che manchi quell’abbandonarsi alla ricerca, molto spesso le produzioni mancano di coraggio, di quella liberatoria voglia di “salto nel buio”. Che può farti sprofondare negli abissi se va male ma può anche farti atterrare in maniera fantastica in un nuovo mondo, come è accaduto ai Notwist in “Neon Golden”. Un salto senza paracadute finito proprio bene.

(Paolo Bardelli)

Se fossi stato un giovane tedesco negli anni Settanta, per me sarebbe stato Krautrock o morte. Non avrei mai potuto convivere con l’idea che la generazione dei miei genitori fosse stata coinvolta in un crimine di proporzioni peggio che bibliche”. Parole di Julian Cope dal suo meraviglioso saggio “Krautrocksampler, Guida personale alla Grande Musica Cosmica”. Se ci pensiamo bene così è stato; una generazione di giovani che guardavano al futuro per dimenticare il passato. Che poi più che dimenticarlo, il passato, lo trasportarono in una nuova dimensione. Cancellare non sempre è possibile. Trasformare forse sì. Così anche i Notwist, gruppo tedesco di Monaco, formatosi nella fine degli anni 90, dopo dieci anni attraversò la galassia cosmica. Si rese conto che il passato (in questo caso il folk americano) poteva diventare altro. “Neon Golden” è la consapevolezza che tutto muta, tutto diventa qualcosa d’altro, perché il tempo scorre e non si può fare altro che assecondarlo. Musica cosmica 2.0. Io c’ero. E gli orrori del mondo non chiedono sguardo migliore se non quello di chi ha già cambiato pelle due volte.

(Nicola Guerra)