J MASCIS, “Elastic Days”(Sub Pop, 2018)

Terza (o quarta se si considera “Martin + Me”) uscita solista per il cantante e chitarrista dei Dinosaur Jr.
Il non proprio esaltante “Tied to a Star” di cinque anni fa sembrava avere incrinato le certezze intorno alle capacità compositive dell’artista che forse per voglia si provare ad estremizzare il suo percorso, aveva realizzato un album asettico e autoreferenziale.
Ora Mascis ha pensato di farsi aiutare da qualche amico ad arricchire il suono della sua chitarra. Quindi troviamo il musicista e produttore Mark Mulcahy, da Pall Jenkins dei Black Heart Procession e da Zoë Randell dei Luluc(un duo folk australiano) che lo hanno accompagnato nelle registrazioni avvenute presso i suoi studi di Amherst vicino a Boston.

Come sempre ha fatto nei precedenti lavori J imbraccia la chitarra acustica e con lei i suoni riescono ad essere per forza di cose puliti e senza riverberi, spesso distaccandosi anni luce da quasi tutto è stato fatto con il suo gruppo principale. Ovviamente non mancano gli assoli con l’elettrica ma con un approccio più soft permettendogli di rivisitare i luoghi che furono solo accennati nei primi due album solisti.

Se ci si addentra nella nebbia di “Web So Dense”  si rimane imbrigliati nel soffice andare acustico che prepara le aperture vocali che difficilmente si riescono ad ascoltare con i Dinosaur jr.
Il singolo “See you at the Movies”(qui con Pall Jenkins) e “I Went Dust”(in duo con Zoë)  sono una freccia lanciata verso “Get me”, una sorta di orologio che corre in senso opposto che cambia direzione con le docili ma ficcanti “Sky is All We had” e “Give it off” riuscendo a ridefinire quello che è ormai un territorio di troppi: l’indie-folk.

Spingendo i confini verso un orizzonte più elettrico ma funzionale alla veste acustica dei brani il disco si riempie di nuove vette per il genere come in “Sometimes” che alterna momenti di pace a furia riescendo a far breccia in luoghi mai visitati prima.

Musica a parte i testi sono frutto dei pensieri immateriali e lasciano ampio spazio all’interpretazione ed è difficile seguire (se c’e’) un filo logico e le parole siano solo ‘appoggiate’ sulla musica per permetterle di esprimere la propria forza. Questo permette all’album di essere il più interessante da “Several Shade of Why” e  pietra di paragone per chi vorrà cercare di andare oltre i soliti standard dell’indie-folk.

85/100