Intervista a M¥SS KETA


Si presenta come sempre la nostra M¥SS KETA, con la consueta maschera che le copre il volto e che mette in risalto tutta la sua sfrontata biondezza. La incontriamo negli uffici dell’Universal per parlarci della sua nuova fatica: UNA VITA IN CAPSLOCK. Qualcuno potrebbe emozionarsi nel trovarsi catapultato qui all’improvviso, e probabilmente inizierebbe a mordersi le labbra tentando di capire se il trasferimento da Bligny 42 agli studi Universal sia la realtà o soltanto un sogno. Non di certo lei, non la M¥SS. “Certo, ai tempi di Milano Sushi e Coca, quando facevo ancora la modella e l’amministratrice delegata in Rovagnati, non avrei mai immaginato di arrivare fin qui”.

Beh, si può dire però che esserti fatta le ossa con i videoclip autoprodotti è servito e ha pagato, o no?
Ma guarda, io posso dirti che farsi (le ossa, ndr) paga sempre. Ci siamo fatti (ancora le ossa, ndr) tutti insieme con Motel Forlanini e tutti insieme ci siamo poi ritrovati qui. È una cosa fantastica e inaspettata certo, perché non era programmato, non sapevamo dove saremo andati a finire.
Ci ha aiutato un po’, forse, l’essere un progetto che è costruito quasi totalmente nell’era del digitale e del social, uno strumento fondamentale senza il quale probabilmente M¥SS KETA avrebbe avuto una dimensione più Milano-centrica, più localistica.
Probabilmente senza la visibilità dei social sarei rimasta a Porta Venezia, e invece adesso eccomi qui. È bellissimo, sono davvero felice. Ma non mi sono mai posta nessuna domanda, non mi sono mai stupita: io so benissimo che la realtà supera sempre la fantasia.

E che ne sarà delle ragazze di Porta Venezia? Non pensi che si sentano abbandonate con questo salto di qualità? Non hai paure di perdere i tuoi fan della prima ora, i tuoi aficionados?
Tesoro, io non ho mai abbandonato nessuno e non ho mai perso nessuno, nemmeno i miei amanti! Sono una donna autonoma e indipendente. Milano è la mia base, ma mi sono sempre sentita più italiana che milanese. Infatti in questo disco non c’è nessun riferimento geografico, a parte “Ultima botta a Parigi”, e la dimensione è decisamente più nazional-popolare. L’approccio però è rimasto lo stesso di un tempo, di quando nel ’77 suonavo punk: stessi temi, stessa attitudine. Vi posso garantire che è tutto O.G.

Come ti fa sentire essere diventata ormai una donna di spettacolo? Ti piace come definizione?
Mah guarda… [sospira un attimo] In molti mi definiscono una donna di spettacolo. Io in realtà non ho mai amato le definizioni, perché alla fine diventano una gabbia dalla quale non si riesce ad uscire. E poi è sempre difficile racchiudere ed esprimere tutte le sfaccettature di una persona all’interno di una definizione.
[Fa una piccola pausa, con aria disinteressata] Se proprio dovessi definirmi trovo che donna di spettacolo sia un po’ riduttivo. Direi più uno spettacolo di donna!

Da dove nasce la scelta di non mostrarsi? Forse pensi che mantenere l’anonimato, la scelta di non apparire mai in pubblico con il tuo vero volto possa contribuire rendere il tuo personaggio ancora più cult?
Se ti riferisci alla video intervista con la Leosini posso dirti che ha contribuito a rendere cult non solo me, ma la stessa Leosini. Ad ogni modo, M¥SS KETA non è un personaggio e non è vero che non si mostra affatto. La gente pensa che indossare una maschera significhi automaticamente rimanere nell’anonimato, o addirittura aver paura di mostrarsi. Se ci pensi bene però tutti indossano una maschera che nascondono dietro al loro volto, tutti facciamo finta di essere qualcosa di diverso da quello che siamo. Io la mia maschera la faccio vedere, non mi nascondo. So di averla e la mostro. Se poi vuoi sapere il vero motivo per cui la indosso sempre quando vado in pubblico, è soltanto perché così evito di perdere tempo a truccarmi.

Parliamo del disco: dopo L’ANGELO DALL’OCCHIALE DA SERA hai tirato fuori un altro concept album, dove si contano tante influenze musicali e dove si racconta sempre una storia di redenzione e riscatto, una discesa agli inferi e una redenzione…
È proprio così, è un album molto oscuro e molto dark, se vogliamo, anche per quanto riguarda la ricerca dei suoni, molto ruvido. CARPACCIO GHIACCIATO era più patinato, più morbido, mentre invece qui ci sono tanti mondi sonori, che poi sono quelli che influenzano la mia anima musicale: dall’electro-punk al trip-hop, dal noise alla fidget house; ci sono intermezzi afro-tribal e si arriva persino al metal… Ho voluto tirare fuori tutte queste diverse anime per raccontare nel modo migliore quella che è una vera e propria discesa all’inferno. È un posto che conosco molto bene, e che ha a che fare non solo con il mondo all’esterno, con la realtà in cui viviamo, ma anche con tutta una serie di fantasmi interiori, con la nostra dimensione più intima. Ad esempio, un brano come Botox (terzo singolo che anticipa l’album, il cui video è uscito pochissimi giorni fa) parla di una violenza insieme intima e globale, un inferno che riguarda tutti. Ma dopo l’inferno si risale sempre in paradiso: alla fine di tutta questa oscurità c’è sempre la luce. E anche se è una luce artificiale non fa niente…

Nei tuoi testi si nota un uso disinvolto di slogan pubblicitari, di luoghi comuni, di tutta una serie di clichés che vengono dall’immaginario televisivo e dal mondo dello spettacolo, spesso frugando anche indietro nel tempo, negli anni ’80 e ’90. Ti senti ancora legata a quel mondo?
Ma io penso che lo slogan, il cliché, sia diventato il modo più naturale e diffuso di esprimersi ormai. I richiami ai modelli degli anni ’80 e ’90, come ad esempio le figure dello yuppie che fa nottata e che non dorme mai perché dopo la discoteca ritorna a lavorare, o della modella che desta scandalo, sono tutte figure che si ritrovano ancora oggi. Credo che sia sbagliato dire che questo immaginario sia preso in prestito dal mondo dello spettacolo o dalla pubblicità: è un immaginario e un insieme di simboli e di miti con cui raccontiamo ancora il nostro mondo. Non esiste cosa migliore di uno slogan per raccontare la propria intimità. Ma ricordatevi di mettere sempre l’hashtag!

Come nascono le canzoni di M¥SS KETA? Ti concentri prima sul testo e ci ricavi sopra i beat, o prima viene la ricerca delle sonorità giuste e il testo arriva in un secondo momento?
È un po’ sia una cosa che l’altra. Una canzone come UNA VITA IN CAPSLOCK l’avevo pronta da un po’ di tempo, per esempio, e si trattava di arrangiarla e di trovarne la giusta dimensione musicale. Ma in generale direi che il lavoro maggiore viene fatto sulla ricerca delle sonorità giuste, poi si cerca di trovare nei testi quelle suggestioni, quegli argomenti e quelle frasi che si incastrano con i beat: è un po’ un lavoro parallelo in cui il gioco consiste nel trovare le corrispondenze giuste.
Ma non posso svelare troppo perché sennò la mia scimmietta si incazza e quando torno a casa mi tocca litigare con lei! Oggi a proposito non è potuta venire, e si scusa tanto, ma aveva un’intervista con Marzullo”

Scimmietta che compare nell’immagine di copertina del disco in una posa che, se posso dirlo, un po’ mi fa invidia…
Tesoro, mi dispiace! Se vuoi andare un attimo in bagno a sfogarti io ti aspetto qui…

No, credo di poter resistere. Ma grazie per il pensiero. Ad ogni modo, da dove nasce l‘idea della copertina?
La scimmia è sempre stato il mio animale guida. Rappresenta l’elemento irrazionale che viene liberato nel lavoro artistico. Pensiamo di essere degli animali razionali, quando in realtà siamo soltanto delle scimmie in gabbia, addomesticate, ammaestrate a fare il loro lavoro. Ma per una punk situazionista e ribelle come me non esiste nessuna gabbia. In gabbia non ci vado, no no no che non ci vado. La scimmietta rappresenta proprio questo mio lato irrazionale e indefinibile, questa mia follia, che mia piace nutrire e alimentare.

Cosa dobbiamo aspettarci dai Live?
[sorriso eccitato] Tanta ribellione punk!
Il live è un momento di assoluto sfogo, perché sul palco mettiamo in scena una performance quasi teatrale. C’è un po’ di tutto: il DJ con le basi, le ragazze di Porta Venezia che assieme alla sottoscritta mostrano la loro attitudine dissacrante, ribelle ed eversiva, e poi ci sono i visuals. È una vera e propria performance. Mi diverto anche io.
A proposito: venite tutti il 19 aprile ai Magazzini Generali. Vi aspetto.

E poi il 20 aprile tutti ad ascoltare UNA VITA IN CAPSLOCK.
Esatto: se non ti piaccio ti ammazzo!