ANNA BURCH, “Quit the Curse” (Heavenly Recordings, 2018)

Da bambini tutto sa di cose buone: la torta della nonna, la festicciola degli amici della via, “il” gnocco (leggasi, focaccia) al forno. C’è una magia, negli anni della fanciullezza, che non si ripete più, si perde e si ritrova, eventualmente e parzialmente, quando sei dall’altra parte della barricata ad esercitare il mestiere di genitore.

Il debut album di Anna Burch – un passato con i Frontier Ruckus – è un disco che non rivoluziona alcunché, che si giostra nel più classico indiepop da chitarrina e tanti cuori e palloncini, e allora perché funziona decisamente? Proprio perché riesce a cogliere quella magia dell’essere cuccioli.

Canzoni da chitarra elettrica suonata come fosse acustica, accordoni e via, ma con quella capacità di sorprendersi e giocare che non è poca cosa. O, meglio, che non è comune. E se poi a ciò si aggiunge la bellezza acqua e sapone di Anna, ecco che il quadro è completo. La semplicità come filosofia di vita.

Come si era scritto in occasione della Top 7 settimanale, il pezzo più riconoscibile è “Asking 4 a friend” dove in effetti la cantautrice di Detroit mette meno zucchero, ma anche le scale cromatiche di “In Your Dreams” che saltellano tra i californiani Minipop e i newyorkesi Marcy Playground sgomitando per farsi ricordare. In generale tutti i brani scorrono via bene, piacevolmente.

Se Anna in futuro dirà addio alla sua innocenza, che in questa prima prova ci sta ed è finanche salvifica ma che non può durare in eterno, immergendosi in un suono più maturo e complesso, beh, ne vedremo ancora di più belle.

69/100

(Paolo Bardelli)