AMERICAN NIGHTMARE, “American Nightmare” (Rise Records, 2018)

Gli American Nightmare hanno una storia diciamo abbastanza turbolenta alle spalle. Il gruppo, conosciuto anche con la denominazione Give Up the Ghost (adottata per un breve periodo causa una disputa legale relativa il nome della band disputato anche da una formazione proveniente da Philadelphia), ebbe una vita intensa tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, ma nel 2004 proprio sul più bello e alla vigilia di un tour europeo annunciò la fine del progetto causa problematiche di tipo personale mai specificate. Nel corso degli anni i quattro componenti del gruppo si sono disimpegnati in diversi progetti, prima della inattesa reunion nel 2011, accompagnato da tanto di ristampa dei primi due LP. C’è voluto comunque un po’ prima che ritornassero in studio di registrazione per lavorare a un nuovo disco che esce ora – eponimo – per la Rise Records di Beaverton, Oregon.

Ascoltando questo disco, pare subito evidente che la reunion della band non sia stata dettata da ragioni di semplice opportunità, ma che evidentemente il quartetto fondato da Wesley Eisold (Cold Cave, Some Girls, XO Skeletons), l’unico componente originario dalla formazione del gruppo nel 1998, abbia al contrario quello stesso vibe e quello stesso furore giovanile di derivazione hardcore-punk imparato alla grande scuola dei maestri Black Flag e che costituisce oramai una lunga e fondamentale tradizione nel panorama alternative USA. Una tradizione rispettata e rinnovata con questa sequela di nove tracce dal carattere oppositivo e dalla struttura “flash” fatta di composizioni breve e fulminanti tipiche del genere.

L’unica obiezione che si potrebbe muovere a un lavoro di questo tipo è quella che il sound proposto e le soluzioni non siano particolarmente originali, ma pretendere qualche cosa di questo tipo qui non ha alcun senso. È sempre tutta una questione di aspettative: tutto quello che si può chiedere a un gruppo come gli American Nightmare è di suonare del potente hardcore-punk e questo lo sanno fare sicuramente bene. Se non vi interessa, lasciate perdere. Intanto (di nuovo) bentornati.

74/100

Emiliano D’Aniello