TAPIR!, “The Pilgrim, Their God and The King Of My Decrepit Mountain” (Heavenly, 2024)


Un collettivo di sei musicisti sta facendo molto parlare di sè a Londra e dintorni. Sono i Tapir!, composti da Ike Gray (voce e chitarra), Will McCrossan (tastiera e drum machine), Tom Rogers-Coltman (chitarra e sassofono), Ronnie Longfellow (basso), Emily Hubbard (cornetta e synth) and Wilf Cartwright (batteria e violoncello) che rilasciano l’album di debutto “The Pilgrim, Their God and the King of My Decrepit Mountain”, o meglio una raccolta dei loro 3 EP usciti dallo scorso maggio a oggi per la Heavenly. Hanno senza dubbio metabolizzato il suono post-rock di Black Country, New Road e Caroline, ma arricchendolo di folk e chamber-pop.

Le dodici canzoni narrano la storia di un viaggiatore solitario, una creatura rossa e ambigua nominata The Pilgrim, nel suo percorso attraverso foreste dense di inquietudine, mari in tempesta e montagne popolate di creature mitologiche. Ispirazione che nasce dall’opera di artisti quali Henri Rousseau e Philip Guston, i romanzi di Swift e Joyce, lo storytelling di Randy Newman o di Conor Oberst (Bright Eyes), gli esperimenti sonici di Jim O’ Rourke e del collettivo Elephant Six.

Gray e McCrossan hanno fondato la band nel 2019 e suonato una sola volta prima del lockdown al George Tavern, pub fucina di scambi e libertà artistica gestito da Pauline Forster nel quartiere medievale di Shadwell, East London costringendoli a lavorare in remoto sui brani con inserti di elettronica, batterie elettroniche, l’orchestra simulata da violoncello e mellotron. Incoraggiati da Yuri Shibuichi, batterista degli Honeyglaze che si offre loro come produttore, i Tapir! iniziano le registrazioni nel 2022: l’intento è di creare musica sì fluida però ricca di tonalità, in una scrittura comune di melodie istantanee per il cuore e balsamiche per l’anima.

Un disco che trasporta l’ascoltatore in una realtà immateriale e sognante dove regni la creatività, come nella splendida “My God” (“Waking up with intuition/Going back to sleep/Rumination premonitions/That you’ll never keep/That’s my God“); beneficiamo anche dell’incontro tra Hood e Radiohead in “On A Grassy Knoll (We’ll Bow Together)” mentre una clamorosa “Gymnopedie” regala un gospel psichedelico degno dei Sigur Ros di “Takk” e dal chorus surreale “Because I’ve been told in Heaven/The rooms are filled with mice/There’s breadcrumbs in the bed sheets/And Jesus had head lice“. “Untitled” invece mi ha fatto pensare ai Gorky’s Zygotic Mynci e al loro folk di derivazione anni sessanta. Le ultime tappe del nostro viaggio sono “Broken Ark”, lento walzer tra elettronica e distorsione, oltre a “Mountain Song” con le sue atmosfere à la Fleet Foxes.

Una forte empatia e la capacità di scrivere brani destinati a rappresentare la loro generazione fanno dei Tapir! un progetto interessante e dagli ampi margini di crescita.

78/100

Foto in Home di Sebastian Garraway, cortesia dell’ufficio stampa Spin-Go!