Monica Mazzoli Awards 2016

Quest’anno ho cambiato foto: sempre immersa tra i dischi, non tra quelli londinesi di Rough Trade, bensì quelli della mia collezione, in mano il cd della colonna sonora de La morte ha fatto l’uovo (1968), film di Giulio Questi, regista di soltanto tre pellicole – le altre due, Se sei vivo spara (1967) ed Arcana (1972) – ma dotato di occhio cinematografico. La morte ha fatto l’uovo è un giallo all’italiana atipico, con protagonisti Jean-Louis Trintignant – poi anche nel supergiallo torinese La donna della domenica (1975) – e una Gina Lollobrigida, capitata lì un po’ per caso (forse). Le musiche di Bruno Maderna sono l’elemento forte e caratterizzante del lungometraggio di 110 minuti (poi tagliato in 90 minuti): tratteggiano i fotogrammi surreali, girati tra i polli malformati di un’azienda di pollame ed un motel di quarta categoria, luogo di incontri a base di eros e thanatos (ma solo per finta). Film e colonna sonora tra i miei ascolti e visioni preferite di questo 2016. Scelta di foto obbligata, quindi.
Come al solito non farò nessuna classifica – sì, lo so, vi chiederete, “e questa cos’è?”. Ho buttato giù, molto semplicemente, una raccolta di dischi, canzoni, concerti ascoltati, visti con più piacere negli ultimi dodici mesi.

breve preambolo : i commenti ad ogni disco sono estratti da varie fonti, articoli pubblicati su Kalporz (quando c’è il link) e schede informative che curo per il sito di Rock Bottom (negozio fiorentino di vinili usati e nuovi)

Top 10 dischi

1. Shabaka and The Ancestors – Wisdom of Elders
” “The wisdom of elders” fa da ponte tra passato e futuro. La spiritualità jazz parla linguaggi musicali afro (ed) americani: il sassofonista londinese Shabaka Hutchings ed i sudafricani Ancestors a Johannesburg, in una sola giornata, registrano l’album: nove brani che sono un viaggio e dialogo sonoro, indietro ed avanti di anni.”

2. King Gizzard & Lizard Wizard – Nonagon Infinity
“Gli australiani King Gizzard & the Lizard Wizard, nel giro di quattro anni (2012-2016), hanno pubblicato otto dischi, tutti diversi tra loro, alla ricerca di nuove strade sonore, come dimostrano gli ultimi due lavori: “Paper Mâché Dream Balloon” (2015) è all’insegna di un pop psichedelico, folk; “Quarters!” (sempre 2015) è una raccolta di quattro canzoni jazz-prog. “Nonagon Infinity” è, invece, psichedelia pura: le varie tracce sono un flusso continuo, freak e stralunato, difficile dire dove finisce una canzone e ne inizia un’altra. ”

3. Yussef Kamaal – Black Focus
4. William Tyler – Modern country
5. The Hardy Tree – Through passages of time
6. Gareth Dickson – Orwell Court

7. Chris Cohen – As if apart
” “As if apart” (2016) è il secondo album di Chris Cohen. A quattro anni da “Overgrown Path” (2012) il musicista americano ritorna con un nuovo disco. Il titolo, “As if apart”, riprende quello di un componimento poetico di Andrew Maxwell. Il lavoro di Cohen si caratterizza per un’estetica sonora lo-fi, home made ma che riesce ad non essere raffazonata: ogni pezzo – in totale dieci – sono parte di un puzzle pop psichedelico, complesso e semplice allo stesso tempo.”

8. Noura mint Seymali – Arbina
9. Carla dal Forno – You know what it’s Like
10. Tuns – TUNS

Altri dischi in ordine sparso

Steve Gunn – Eyes on the Lines
“Eyes on the Lines”, debutto su Matador Records: un road album di chiara ispirazione americana dove il tratto della chitarra, più rock rispetto ai lavori precedenti, si incrocia con racconti di strade, di paesaggi e di sogni. Il vagare perdendosi è, di fatto, il tema centrale nel disco. Il primo singolo, “Conditions Wild”, in questo senso ha quasi una funziona illustrativa: è ispirato a “A Field Guide to Getting Lost”, libro di Rebecca Solnit e riflessione sui significati del perdersi. L’atmosfera portante dell’album è pertanto contemplativa, fluttuante ma Gunn, artisticamente parlando, trova se stesso e, forse per la prima volta, dimostra di trovarsi a suo agio nella doppia veste di musicista e compositore/autore.”
Parquet courts – Human Perfomance
I Parquet Courts sono la “american indie band” degli anni dieci, di certo non sfigurerebbero in un ipotetico capitolo dedicato agli anni duemila nel libro di Michael Azerrad, “Our Band Could Be Your Life: Scenes from the American Indie Underground, 1981–1991”.
Quilt – Plaza
Tutti i brani (o quasi) hanno una forma classica (strofa, ritornello, bridge). Anna Rochinski (voce, chitarra, piano, organo, synth), Shane Butler (voce, chitarra), John Andrews (batteria/voce, piano, organo) e Keven Lareau (basso, chitarra acustica), aiutati da Jarvis Tarniere (chitarrista dei Woods e già produttore del precedente “Held in Splendor”), danno forza e concretezza al lato pop e melodico delle proprie composizioni facendosi autori di un scrittura più strutturata, meno dispersiva e ripetitiva.
Money – Suicide Songs
La scelta di chiamare un disco “Suicide Songs” è sicuramente suggestiva. La copertina, in bianco e nero, lo è altrettanto: Jamie Lee, cantante ed autore dei testi dei Money, è a petto nudo e ha un coltello puntato, in bilico, sulla fronte. Un’immagine forte, pensata non con l’intento di provocare ma di scattare l’istantanea di un attimo: il periodo di ubriachezza pesante, di confusione e di crisi personale attraversato da Lee, ossia colui che è, a tutti gli effetti, l’anima artistica della band mancuniana, tentennante tra musica e poesia. Questo fluttuare tra note e parole, evidente nel lavoro d’esordio “The Shadow of Heaven” (2013), continua nell’ultimo album ed è in qualche modo la politica fondante dei Money: il modo di comporre, di scrivere dando pathos e forza alle parole attraverso la musica ha un fine preciso, ossia quello di “creare una sorta di sentimento, di spettacolo della bellezza”, di “ritrarre una verità poetica” che può fare anche male.
The Goon Sax – Up to Anything
“I Goon Sax sono un trio di guitar pop australiano, di Brisbane per la precisione. Città che ha dato i natali ad alcuni gruppi cardine della scena aussie fine anni settanta/inizio anni ottanta: The Saints, The Apartments, The Riptides, Just Urbain, The Go Betweens ecc. . Sono proprio quest’ultimi a scorrere nel DNA della giovane band: Louis Forster, chitarra e basso della band, è infatti il figlio di Robert Forster. Ma al di là dei possibili paragoni con la storica formazione del padre, i tre (giovanissimi) ragazzi – Louis Forster, James Harrison e Riley Jones – pur ricordando le classiche melodie del jangle pop australiano (e britannico) stanno incominciando a sviluppare una personalità propria, scanzonata, spensierata e genuina. Anche perché, è bene ricordalo, tutti e tre scrivono, suonano e cantano. Ed “Up to Anything” (2016) è il loro debutto, pubblicato per la Chapter Music, etichetta discografica particolarmente attenta alle nuove proposte (e non solo) della scena australiana (Dick Diver, Twerps, The Stevens).
Con il gruppo ho fatto (via email) una piacevole intervista, qui.
Holy Wave – Freaks of Nurture
“ Non considerando “Evil Hits” (2012) – LP che raccoglie i primi EP della band – Freaks of Nurture” (2016) è il secondo album degli americani Holy Wave . Il disco, come le pubblicazioni precedenti, è uscito per la Reverberation Appreciation Society, etichetta curatrice dell’Austin Psych Fest, di cui la formazione texana è regolarmente ospite. I dieci brani, contenuti nel lavoro, proseguono il discorso musicale iniziato con “Relax” (2014) e lo sviluppano ulteriormente: il gruppo è fortemente legato al concetto di psichedelia e lo ancora di più a quello di jam band, sul palco i vari musicisti si scambiano gli strumenti ed improvvisano, cambiano le carte in tavola. Su disco questa vena free, psych si sposa però con il lato pop e dreamy/shoegaze della musica del quintetto e “You Should Lie”, quarta traccia in scaletta, è la sintesi di queste due anime: neopsichedelia e shoegaze.
Konono N°1 & Batida – Konono Meets Batida
“Konono N°1, collettivo musicale congolese esponente della “congotronic”, e Batida (vero nome Pedro Coquenão), produttore dance angolese di stanza a Lisbona. “Konono Meets Batida” (2016), disco registrato nella capitale portoghese, è prodotto, come al solito, da Vincent Kenis, che nei primi anni duemila ha portato sotto la luce dei riflettori la musica della band di base a Kinshasa: un magma sonoro che mescola ritmi africani e i rumori elettrici della società industriale utilizzando strumenti tradizionali (likembe, percussioni africane) e ricavando strumenti da oggetti spazzatura. I Konono N°1, nati negli anni sessanta nella regione del Bakongo (tra Congo ed Angola) e fondati da Mingiedi Mawangu (membro del gruppo etnico dei Zombo o Bazombo), hanno unito nel corso degli anni lo spirito tradizionale della musica africana con lo specchio dei tempi moderni: il gruppo ha conferito una nuova e seconda vita al likembe (un piano a pollice) elettrificandolo e usando per la realizzazione dei propri strumenti (in larga parte percussioni) materiale di scarto urbano (ossia magneti d’automobili, vecchi pezzi di macchine e di motori). Il risultato finale è un incrocio tra l’intreccio ipnotico ed ancestrale delle danze africane e una ritmica elettronica non convenzionale.”
Hashish – Product of Hashish
“Hashish è un progetto di Stefan Kèry, proprietario dell’etichetta svedese Subliminal Sounds (che ospita tra gli altri Dungen, The Amazing e Life on Earth!). Il punto di partenza è la passione retromaniaca per le sonorità anni sessanta/settanta. “Product of Hashish” (2016) è il primo capitolo di questa nuova creatura artistica.
L’album contiene otto brani dalle mille sfaccettature che però condividono un tratto in comune: la vena psichedelica. Tutte le tracce – in bilico tra funk, kraut, lounge music, soundtrack music – hanno tutti in nuce un’anima sonora volutamente lisergica e freak.”
The Myrrors – Entranced Earth
” Terzo album della formazione psichedelica americana The Myrrors. Il titolo del disco è ispirato a “Terra em Transe” (1967), film di Glauber Rocha, regista brasiliano esponenente del Cinéma Nôvo e figura chiave nel movimento tropicalista. Il tratto distintivo della band è, quindi, quello di sperimentare oltrepassando i confini geografici, vengono così introdotti nuovi strumenti appartenenti a diverse tradizioni e culture, come ad esempio il Bulbul tarang di origini indiane. Ma non solo: nonostante le registrazioni non siano totalmente live, nei brani è forte la componente dell’improvvisazione: la forma canzone classica non viene presa nemmeno in considerazione, tant’è che la struttura portante di ogni pezzo – sette in tutto – è completamente free, si dirama in divagazioni psichedeliche e ritmiche mantriche, come suggerisce il titolo della penultima traccia, “Invitation Mantra”. ”
Imarhan – Imarhan
“Album di debutto omonimo del gruppo desert rock algerino Imarhan, capitanato da Iyad Moussa Ben Abderahman (aka Sadam). Una sintesi ben riuscita di rock, blues, funk e musica tradizionale tuareg. Gli Imarhan – in tamashek Imarhan vuol dire “quelli a cui tengo”- sono un sestetto algerino della nuova ondata della musica tuareg: Iyad Moussa Ben Abderahmane, Tahar Ag Kaddor, Kada Ag Chanani, Hicham Ag Boubas, Hachim Ag Abdelkader e Habibalah Ag Azouz fondono la musica tuareg con il jazz, il blues, il funk. Anche se non mancano gli elementi di modernità, come dichiara Iyad Moussa Ben Abderahman (aka Sadam) a The Quietus nel gennaio 2016, “Rispetto alle altre band, come nuova generazione, stiamo aggiungendo più elementi moderni che possono provenire dal rock o dal funk o qualsiasi altra influenza che vada oltre la musica tuareg. Facciamo musica per la nuova generazione. E lo puoi vedere dai nostri vestiti, non indossiamo vestiti tradizionali”. ”
Case/lang/veirs – Case/lang/veirs
” “Case/lang/veirs”: l’unione fa la forza. Dopo la partecipazione di Neko Case e k.d. lang all’album di Laura Veirs del 2013, “Warp and Weft”, le tre musiciste realizzano un intero disco insieme, prodotto da Tucker Martine (già al lavoro con R.E.M., My morning jacket, Modest Mouse, Beth Orton, Mudhoney, Bill Frisell, Sufjan Stevens) e registrato a Portland (dove vivono k.d lang e Laura Veirs). I quattordici brani sono il frutto di un vero lavoro a tre: nei vari pezzi si alternano i diversi stili e voci delle tre artiste. E il risultato viaggia sui binari di un pop, venato di americana, elegante ed affascinante.”
Kaytranada – 99 %
“Primo album vero e proprio di Kaytranda. Numerosi sono i featuring, quasi ogni traccia ha un ospite, famoso o meno. Si va quindi da Craig David (“Got it Good) al batterista jazz Karriem Riggins (“Bus Ride”). Per non citare tutte le altre collaborazioni: Syd tha Kyd , Aluna George, Anderson .Paak e Little Dragon. Il produttore, canadese d’adozione, crea quindici tracce con personalità ed abilità: mescola R&B, hip hop, funk, soul, house e jazz senza risultare ripetitivo e banale.”
Whitney – Light upon the take
“ Whitney : punto di incontro tra Julien Ehrlich (ex batterista degli Unknown Mortal Orchestra; Smith Westerns) e Max Kakacek [aka Teenage Lovers] (ex Smith Westerns). La storia dei Smith Westerns è finita. Insomma non ascolteremo mai più quel (jangle) pop dalle venature psichedeliche racchiuso magicamente in un album come “Soft Will” (2013). Cullen Omori è andato per la sua strada ripartendo da dove era rimasto con la sua band di origine, i suoi compagni di gruppo – Max Kakacek [aka Teenage Lovers] e Julien Ehrlich – hanno, invece, prodotto un disco come “Light upon the lake”, leggiadro, pop e soavemente country a tratti.”
Kevin Morby – Singing Saw
“Terzo disco solista di Kevin Morby. Grazie all’aiuto di Sam Cohen (Yellowbirds) dietro alla cabina di regia il musicista statunitense amplia il proprio spettro sonoro: folk oriented tendente al country/all’americana. Gli arrangiamenti si fanno, quindi, più ricchi: archi e sax in “Drunk and on a star”, “Destroyer” ed un uso importante del piano. ”
Mutual Benefit – Skip a sinking stone
“Mutual Benefit (ossia Jordan Lee) continua il percorso iniziato con il precedente “Love’s crushing diamond” (2013). Ancora una volta il musicista americano oltrepassa il concetto di forma canzone: mille le sfumature, niente “strofe- ritornelli” ma flussi di mondi sonori dalle tante prospettive ed angolature.”
Beyond the Wizards Sleeve – The Soft Bounce
“Beyond the Wizards Sleeve, duo formato da Erol Arkan e Richard Norris, due personalità con un background diverso, unite però dalla passione per la psichedelia: Arkan, DJ, fondatore del locale notturno indie/electro Trash e dell’etichetta Phantasy; Richard Norris, co-autore del primo disco acid-house britannico, ex label manager della Bam Caruso (etichetta dedicata alle ristampe di uscite psichedeliche), produttore di alcune tracce dei Mescaleros, parte del duo techno Grid ed anche collaboratore degli Psychic TV. “The Soft Bounce” è il primo album dei Beyond the Wizards Sleeve, arriva dopo la pubblicazione di vari EP, “Beyond the Wizards Sleeve” (2005), “Birth” (2005), “George” (2007) e “Spring” (2006). “ The Soft Bounce”, uscito a luglio, è un incrocio labirintico e caleidoscopico di suoni che si rifanno agli anni sessanta ed alla psichedelia, che però vengono elaborati in chiave contemporanea e pop, anche grazie all’utilizzo di diverse voci, Hannah Peel (Magnetic North), Blaine Harrison ( Mistery Jets), Euros Child, Jane Weaver, Hannah Peel.”
Thee Oh Sees – A Weird Exits
” Ultimo capitolo (l’undicesimo) della band capitanata da John Dwyer, nella line-up tre nuovi musicisti: due batteristi, Ryan Moutinho e Dan Rincon; ed il bassista Tim Hellman. Il disco segna il passaggio verso sonorità space rock, kraut. Particolarmente significativo il brano, “Jammed Entrance”, dal retrogusto hawkwindiano.”
Rhyton – Redshift
” Trio americano da sempre – dal disco debutto omonimo del 2012 – dedito ad improvvisare alla maniera delle jam band psichedeliche. Il nuovo lavoro del gruppo non fa eccezione, Dave Shuford & Co mantengono la loro natura, continuano a comporre/suonare seguendo la stessa cifra stilistica, ampliando però la tavolozza sonora: aggiungono sfumature raga rock (“Concentric village”) e country e reinterpretano il brano, “Turn to Stone”, scritto in origine da Joe Walsh.”
Anderson .Paak – Malibu
“Un viaggio nella black music in sedici brani: .Paak, artista versatile, nelle varie canzoni utilizza cifre stilistiche diverse, ossia dal (neo)soul al funk anni settanta, dall’hip hop anni novanta al soul classico. Con un suono contemporaneo ed attuale. ”
Morgan Delt – Phase zero
” Primo album di Morgan Delt ad essere pubblicato per la Sub Pop è registrato nei Topanga Canyon Studio (di proprietà dello stesso musicista americano) ed è masterizzato da JJ Golden. I dieci brani hanno tutti come base di partenza il suono psichedelico di metà anni sessanta che però viene filtrato da riverberi, echi e sintetizzatori. Lo psych pop, a bassa fedeltà, non è mai suonato così futuribile pur mantenendo la sua bellezza vintage.”
Yorkston/Thorne/Khan – Everything Sacred
“Registrato ai Bryn Derwen Studios e all’ Analogue Catalogue, è il primo album del collettivo musicale Yorkston/Thorne/Khan, un gruppo con una forte impronta sperimentale, nato dall’unione di tre musicisti dal diverso background culturale: James Yorkston, songwriter folk scozzese; Jon Thorne, contrabbassista di formazione jazz, ha collaborato con il duo elettronico Lamb; Suhail Yusuf Khan; classe 1988, suonatore di Sarangi (tipico strumento indiano), nipote del maestro Sabri Khan. Il disco contiene otto brani, risultato di un incontro tra linguaggi musicali differenti: da una parte la componente folk britannica (rappresentata in particolar modo dalla cover di “Song for Thirza”, brano in origine della cantautrice inglese Lal Waterson) e dall’altra la tradizione indiana con il suono avvolgente e conturbante del Sarangi (“Vachaspati / Kaavya”) e richiami alla poesia punjabi (il Punjabi è la lingua del popolo Punjabi e delle regioni del Punjab in India e Pakistan) nel pezzo “Sufi Song”, il cui testo è un adattamento di una poesia di Bulleh Shah ((1680–1757, poeta, umanista e filosofo sufi di Punjab).”
Oneida & Rhys Chatham – What’s your sign?
“Da qualche anno Oneida e Rhys Chatham, entrambi newyorkesi (anche se Chatham è di stanza a Parigi), hanno cominciato a collaborare insieme, a partire dalla perfomance all’Ecstatic Music Festival di New York. Adesso – 2016 – arriva “What’s your sign?” , album collaborativo tra i due artisti, contenente in totale sei brani e – secondo Kid Millions – “collaborare con Rhys è stato per gli Oneida il modo migliore per riconnettere la band con la legacy dell’experimental rock newyorchese». Il risultato della collaborazione è un’esplosione cacofonica di sperimentazioni rock, divagazioni kraut e noise.”
Toy – Clear Shot
“Dopo l’album del 2015, “SEXWITCH”, in collaborazione con Natasha Khan (aka Bat for Lashes) , i Toy con una nuova line up – Alejandra Diex sostituita da Max Oscarnold (tastiere) – pubblicano un nuovo disco, “Clear Shot”: album scritto a Londra e registrato a Stockport insieme al produttore David Wrench (Bombino, Beth Orton, Bloc Party ecc.). Abbandonate quasi del tutto le ritmiche kraut la band realizza un album di transizione: cerca di dare una forma più “pop” e meno cosmica ai propri brani: unisce sfumature (new) wave, venature psych e melodie dream pop. E, quindi, i dieci brani di “Clear Shot” si potrebbe definire come una summa della musica pop inglese: psichedelia, post punk e shoegaze. In un sol colpo, ovviamente. ”
Jenny Hval – Blood bitch
Disco prodotto (come il precedente) insieme all’artista noise Lasse Marhaug. Si tratta di opera multimediale, di un crocevia di immagini e suoni con un tema centrale: il sangue, simbolo di vita e di morte. Le dieci tracce somigliano quindi ad un’ipotetica colonna sonora di un film, tra sound design e riferimenti vampireschi da film horror anni sessanta e settanta.

Ed ancora :
Nicolas jaar – Sirens
A tribe called quest – We got it from here…Thank you 4 your service
Sarathy Korwar – Day to day
Cass McCombs – Mangy Love
John Howard ‎– Across The Door Sill
Alejandro Escovedo – Burn something beautiful
Myles Sanko – Just being me
Jessy Lanza – Oh no
Andy Shauf – The Party
The Monkees – Good Times!
Woods – City Sun Eater in the River of Light
John Doe – The Westerner
Sam Coomes – Bugger Me
Chook Race – Around the house
Terry – Terry HQ
Teenage fanclub – Here
Deerhof – The Magic
Cool Ghouls – Animal Races
Lee Fields & The Expressions – Special Night
Badbadnotgood – IV
The Junipers – Red bouquet fair
Drive-by truckers – American Band
Charles Bradley – Changes
Blood Orange – Freetown Sound
Danny Brown – Atrocity exhibition
The Avalanches – Wildflower
Cavern Of Anti-Matter – Void Beats/Invocation Trex
The Renderers – In the sodium light
Spain – Carolina
Knun Narin – II
Kikagaku Moyo – House in the tall grass
Matt Kivel – Janus
Fantastic Negrito – The Last days of Oakland
William Bell – This is where I live
Susso – Keira
Tindersticks – The waiting room
Night beats – Who sold my generation
The Jayhawks – Paging Mr. Proust
Terry Lee hale – Bound, Chained, Fettered
75 dollar bill – Wood/Metal/Plastic Pattern/Rhythm/Rock
The Bongolian – Moog maximus
Dungen – Häxan
Oren Ambarchi – Hubris
Bob Weir – Blue Mountain
Camera – Phantom of Liberty
Radiohead – A Moon Shaped Pool
Dälek – Asphalt for Eden
Chris Forsyth & The Solar Motel Band – The Rarity of Experience
Esperanza Spalding – Emily’s D+Evolution
Nicklas Sorensen – Solo
Black Bombaim & Peter Brötzmann-
Mitski – Puberty 2

Ascolti italiani

Giorgio Tuma – This life denied me your love
His Clancyness – Isolation Culture
L.U.C.A. – I semi del futuro
Lorenzo Senni – Persona
Valerio Tricoli – Clonic Earth
Radio Days – Back in the day
Niagara – Hyperocean
The Bidons – Clamarama

Top 5 Ristampe

1. Big Star – Complete Third (Omnivore Recordings)
2. Jay Richford & Gary Stevan – Feelings (Schema)
3. Alvin Curran – Natural History (Black Truffle)
4. Milk ‘N’ Cookies ‎– Milk ‘N’ Cookies (Captured Tracks)
5. Pure Hell – Noise addiction (Cherry red)

Metamusica

Nel finale del film ad episodi “I tre volti della paura” Mario Bava mostra il dietro le quinte: un Boris Karloff in sella ad un cavallo meccanico. Si va oltre il cinema, quindi. Quest’anno due artisti – David Bowie e Leonard Cohen – sono andati oltre la musica, soprattutto il primo. I (loro) due dischi (“Blackstar” e “You want it darker” ), belli o brutti che siano, sono l’altra faccia della vita: la morte – oscura e nascosta – portata alla luce senza filtri.

Da tenere d’occhio

Mark Wynn
Mark Wynn è l’anello di congiunzione tra lo spoken word e il pop sbilenco british per tradizione. Originario di York negli ultimi cinque-sei anni ha pubblicato una lunga serie di dischi, alcuni dei quali allegati alla fanzine Dirty Work, autoprodotta dallo stesso Wynn. Qualche titolo (di album) significativo: “James Dean Makes Me Insecure, Why Does He Have to Be So Shexy” (2012); “Eggs, Kes and that bike I never bought you even though that I would like to” (2013); “You can tell I’m a pop star – people call me by my full name” (2014); “Skivvy: A Much More Noble Occupation” (2015). Tutti e quattro ascoltabili sullo spazio bandcamp del musicista/performer inglese. Anche se la lista sarebbe molto più lunga, il primo album in assoluto è “Backstreet Ballads and Assorted Wrecks” e, uscito nel 2010, mostra ancora un musicista tradizionale orientato verso un folk acustico. Solo nelle produzioni successive, a partire da “It Hasn’t Got a Title Yet But When I Think of It I’ll Let You Know”(2012), Wynn comincia a sviluppare uno stile più scanzonato, sarcastico e freak.
“The Singles”, compilation non compilation pubblicata dalla Harbinger Sound tre giorni fa (ossia l’8 marzo 2016), è di fatto la sintesi perfetta del mondo sonoro dell’artista: i diciotto pezzi, presenti su disco e già editi, hanno come tratti distintivi una scrittura (pop) sghemba, sonorità a bassa fedeltà e una poetica stralunata ed ironica.
TVAM
TVAM, ovvero Joe Oxley. Si tratta di un musicista britannico, conosciuto per i remix di alcuni brani di Amber Arcades, FEWS, e con un passato in gruppi new wave/surf pop e garage anni sessanta come The V.C.s e The Shook-Ups. Da un anno a questa parte, però, si è stancato del suo vecchio io musicale – “adesso piuttosto che fare il ragazzo con la chitarra, una cosa che trovo abbastanza noiosa, ho dovuto scoprire qualcosa che tenesse vivo il mio interesse ” (come raccontato a Louder than War) – ed ha deciso di lavorare ad un nuovo progetto, completamente da solo. TVAM, appunto. Un nome che, ispirato a quello del programma televisivo britannico anni ottanta TV-am, richiama subito l’immaginario da tubo catodico, intorno al quale, poi, gira tutta l’estetica concettuale della proposta musicale/multimediale di Oxley.
Scott Yoder
Per una decina d’anni – tra il 2003 e il 2014 – Scott Yoder è stato voce e chitarra dei The Pharmacy, gruppo di Seattle autore di un pop psichedelico di matrice british. Dal 2015 ha cominciato, però, una carriera da solista pubblicando prima due EP, “Sisters Under the Mink” e “The Trespasser” (entrambi su Burger Records), e poi l’LP di debutto, “Looking back in blue” (Annibale Records, 2016). La nuova veste del musicista americano è improntata ad un songwriting d’autore molto anni settanta, con un’ossatura pop e venature folk, lasciando da parte le sfumature psichedeliche.

Playlist

Non sapevo come chiamarla e non volendo usare l’inglese, ho scelto l’italiano : “Alma razional sanza ragione”. Il motivo? Questa lista, fatta senza ragione (da me), non ha un’anima razionale.: le scelte sono tutte molte istintive e varie, si va dai Badbadnotgood a Jessy Lanza, da Tim Hecker a David Crosby ecc.

(Guitar)Poplandia

Anche quest’anno ritorna (Guitar)Poplandia, una selezione di canzoni volutamente guitar pop

Concerti

Elvis Costello, Firenze, Teatro Verdi, 27 Maggio 2016
“Detour”, così si chiama l’ultimo tour solista di Elvis Costello (Declan MacManus) . Un nome non scelto fortuitamente, il probabile riferimento è al film omonimo del 1945, diretto da Edgar G. Ulmer e tratto dal romanzo di Martin Goldsmith. Il protagonista della pellicola americana, Al Roberts (Tom Neal), recita, “That’s life. Whichever way you turn, Fate sticks out a foot to trip you.” ossia “Nella vita, qualunque strada un uomo decida di percorrere, se il destino gli è contrario, lo aspetta al varco e gli fa cambiare direzione.”. La locandina della pellicola anni quaranta si materializza, quindi, non a caso, sul palco fiorentino del Teatro Verdi venerdì 27 maggio, quarta data italiana de il “Detour 2016” dopo Torino, Milano, Padova: il manifesto del lungometraggio noir è proiettato nella riproduzione gigantesca di una televisione d’epoca – Lupe-O-Tone – quando parte “(The Angels Wanna Wear My) Red Shoes”, brano dal disco d’esordio “My aim is true”, uscito nel 1977. Album, quest’ultimo, pubblicato dalla storica Stiff Records e prodotto da Nick Lowe, alla regia anche dei quattro lavori successivi di Costello, realizzati – a partire da “This Year’s model”(1978) – con gli Attractions. Il sodalizio con Steve Nieve, Pete Thomas, Bruce Thomas, però, è solo una delle tante “deviazioni” prese dal cantante e compositore londinese. Nel corso del concerto l’obiettivo, peraltro riuscito, è proprio quello di ripercorrere, attraverso ricordi ed aneddoti divertenti, i tanti percorsi – pub rock, new wave, baroque e chamber pop, folk, country, jazz, soul – tracciati dal Costello musicista ed uomo, che ci scherza su fin da subito giocando sulle parole “tour “- “detour” (in italiano “deviazione”) : ” dalle mie parti quando ti chiedono ‘dove stai andando?‘, la risposta è sempre ‘ sto prendendo una deviazione’.
John Carpenter, Torino, TOdays Festival, 26-28 agosto 2016
Carpenter si diverte e non si prende mai troppo sul serio, soprattutto quando, durante il tema di principale di “Essi vivono”, indossa gli occhiali da sole come John Nada (protagonista della pellicola) od, ancora, quando a fine concerto invita a stare attenti a Christine ché potrebbe nascondersi ovunque, “ritornando a casa, guidate con attenzione. Christine è là fuori”. Il massimo dello spasso insomma: se ne sta fermo dietro le tastiere – sguardo e sorriso beffardi – e lancia occhiate di sfida, dall’aria ironica, al pubblico.
Pj Harvey, Firenze, Obihall, 24 Ottobre 2016
Musica e teatralità per uno spettacolo corale, Pj Harvey e la sua band(a)
Giuda, Torino, TOdays Festival, 26-28 agosto 2016
Un concerto più breve del solito, solo mezz’ora, però l’energia, il sudore sprigionati dal gruppo sono pari a quelli di un live di due ore, interminabile e dirompente. E nel finale c’è spazio pure per una cover, inaspettata o forse no: il chitarrista Lorenzo Moretti suona ed interpreta “Saturday Night’s Alright For Fighting”, brano glam rock dell’Elton John di “Goodbye Yellow Brick Road” (1973), che però nella versione Giuda suona molto punk 77: senza fronzoli, rozza e primitiva. Niente di nuovo sul fronte occidentale (forse) ma il passato – quello delle canzoni boover rock di tante formazioni glam inglesi misconosciute – non è stato mai così bello, vivo ed attuale.
Weird Omen, Firenze, NOF Club, 2 novembre 2016
Il trio – Frédéric Brissaud (sax baritono – che suona pure con King Khan), Martin Daccord (chitarra) e Remi Lucas (batteria) – è esplosivo, travolgente e, soprattutto, incendiario perché quando il rock’n’roll è suonato con l’anima ed il corpo non ha rivali. I tre Weird Omen ci mettono entrambi: tanto sudore, tanta voglia di spaccare tutto e tanto divertimento.
Goat, Torino, TOdays Festival, 26-28 agosto 2016
Il concerto di Torino è, infatti, un unico flusso interminabile: inizia, non si ferma mai e non vorrebbe finire. Nel mezzo dei brani c’è di tutto: afro beat, heavy psych, folk, funk, kraut. Un grande caos, inafferrabile, sfuggente: si balla e, soprattutto, si poga in maniera infernale.
Badly drawn boy, Carmignano (PO), 26 luglio 2016
Damon Gough, in una location intima e splendida, per un oncerto voce/chitarra/piano in totale armonia con i propri demoni interiori.
Holy Wave, Firenze, Combo, 3 aprile 2016
Ciò che sembra contare davvero è il vortice di suoni costruito dalla band: il magma dirompente che fonde, in maniera coinvolgente, due mondi musicali ben definiti, la neopsichedelia e lo shoegaze/ dream pop. Diventa, quindi, significativa la scelta di inserire a metà scaletta la cover di “Souvlaki space station” (brano storico degli Slowdive).
Brian Jonestown massacre, Torino, TOdays Festival, 26-28 agosto 2016
Da anni – dal 1995 – si parla di (neo)neo-psichedelia ma a Torino il gruppo di Newcombe – che sembra essersi ripulito dalle droghe – vive in una realtà parallela, come se gli anni sessanta non fossero mai finiti. Canzoni come “Anemone” , “Who?” , “Servo”, al 100% sixties, suonano in maniera splendida e non come tanti, troppi brani – tutti uguali ed insignificanti – prodotti dall’ennesima formazione psych oriented.
Steve Wynn, Firenze, Circolo Il Progresso, 13 aprile 2016
Steve Wynn, storica voce dei Dream Syndicate, ripercorre – chitarra e voce – tutta la sua carriera.

Top 3 letture

1. Elvis Costello – Musica infedele & inchiostro simpatico (Baldini & Castoldi, maggio 2016 – titolo originale, Unfaithful Music & Disappearing Ink – Blue Rider Press, ottobre 2015)
2. Valerio Mattioli – Superonda. Storia segreta della musica italiana (Baldini & Castoldi, giugno 2016)
3. Jürgen Trimborn – Un giorno è un anno è una vita. Rainer Werner Fassbinder. La biografia (Il Saggiatore, marzo 2014 – titolo originale Ein Tag ist ein Jahr ist ein Leben: Rainer Werner Fassbinder – Propyläen Verlag, marzo 2012)

Miglior serie TV

BoJack Horseman (lo so, la prima stagione è del 2014)

Prima stagione di Bojack Horseman finita. Era dall’età della pietra – Sailor Moon – che non seguivo qualcosa (telefilm/serie animata) con così tanta costanza: metà delle puntate le ho viste due volte, in inglese e sempre in inglese ma con i sottotitoli in italiano, ho provato pure con il tedesco (con i sottotitoli) ma poi, per capirci qualcosa, avrei dovuto assumere qualche droga sniffata da Sarah Lynn (la figlia televisiva di Bojack Horseman). Il telefilm ha una sceneggiatura forte: ogni personaggio è caratterizzato nei dettagli, ha un’identità di scena ben definita. Sai che Bojack Horseman, vecchia star da sitcom decaduta, dirà o farà qualche stronzata; che Todd, scroccone della situazione, verrà mandato al diavolo – in continuazione – da Bojack; che Sarah Lynn snifferà qualcosa; che Princess Carolyn si proporrà come agente al primo che le passa davanti; che Diane, una specie di Daria 2.0, è intelligente ma si farà fregare dal (non) amore di due uomini cretini. Le battute, però, non sono scontate e prevedibili: sulla carta la storia di un attore meteora idiota avrebbe potuto essere uno stupido cliché banale, si presenta invece come una metafora affilata e tagliente dei nostri tempi, una descrizione del narcisismo ed egocentrismo socio-culturale. Bojack Horseman vuole essere amato per quello che non è ma crede di essere (o vorrebbe essere) dimenticandosi della sua infedeltà e cattiveria.

Top 5 visioni

i film più visti nel 2016 (non del 2016)

1. Lucio Fulci – Una lucertola con la pelle di donna
2. Giuseppe De Santis – Roma, ore 11
3. Robert Fuest – L’abominevole dottor Phibes
4. Iván Zulueta – Arrebato
5. Michael Powell e Emeric Pressburger – Scarpette rosse