Lo sguardo unico di Giulia Mazza, Kimberley Ross e Chiara Gambuto

Più che un’introduzione a delle interviste, questo vorrebbe essere piuttosto un “GRAZIE” a tutti quelli che stanno sotto ai palchi con le loro macchine fotografiche e riescono a lasciarci ricordi e sensazioni di un live attraverso il loro sguardo unico.

Anche per questo motivo avrei voluto poter includere un numero potenzialmente infinito di persone, ma, non me ne vorranno i maschietti, ho chiesto a tre fotografe – che seguo e che ho avuto la fortuna di incontrare proprio grazie alla musica – di presentarsi e di raccontarci un po’ del loro lavoro: Giulia Mazza, Kimberley Ross e Chiara Gambuto

Giulia Mazza

www.giuliamazza.com | @pazzyjuly

Quando hai iniziato a fare foto e perché?
A 16 anni quando mio zio mi regalò la sua Fujica 35mm con un discreto parco ottiche. M’incuriosiva molto la cosa e diciamo che c’è voluto davvero poco per farmi innamorare.

Qual è il primo concerto che hai fotografato?
Sicuramente un concerto hardcore che era l’ambiente che frequentavo da adolescente e che mi ha anche instradato a fare foto dal vivo. La prima band proprio non ricordo ma è molto probabile si trattasse dei By All Means, un gruppo HC di Modena/Mantova con il quale ho cominciato a girare per concerti e a cui devo molto sia per esperienze vissute che per formazione personale.

Riesci a goderti il live sempre e comunque o ogni tanto senti il bisogno di lasciare la macchina fotografica a casa?
Ammetto che quando un gruppo mi piace molto faccio fatica a prendere la macchina in mano perché da grande appassionata di musica mi toglie dalla dimensione speciale del concerto. Detto ciò ci sono gruppi che mi piacciono tantissimo ma essendo di passaggio non posso permettermi di lasciarli andare.
Venendo dalla scuola della pellicola difficilmente faccio più di 20/25 scatti a concerto, quindi riesco a trovare il giusto equilibrio. Conoscendo musicalmente i gruppi che fotografo una cosa che mi entusiasma è riuscire a dare un mio punto di vista su quello che ho immaginato della band o artista ascoltando la loro musica e questo è un momento che mi rapisce ed esalta, una dimensione concentrata ma davvero unica.

Quali sono i fotografi che ti hanno ispirato maggiormente e/o i tuoi maggiori punti di riferimento (visivi e non – es. letteratura, musica, ecc)?
La lista potrebbe essere infinita quindi mi limito ai fotografi che più che ispirazione illuminano passaggi che in qualche modo senti familiari o mettono in moto un processo immaginativo.
Cindy Sherman, Lee Friedlander, Guy Bourdin, Stephen Shore, Robert Frank, Saul Leiter, Nan Goldin, Martin Parr, Tim Walker, William Klein, Glen E. Friedman, ecc

Ammesso che dei “limiti” ci debbano essere, c’è qualcosa che secondo te non può fare un musicista sul palco o che proprio ti fa passare la voglia di fotografarlo?
Non mi è mai capitato anzi personalmente non ho mai percepito questo tipo di sensazione.
Diciamo che se proprio c’è qualcosa che a volte mi fa scendere la catena sono gli altri fotografi che abusano del digitale scattando 100000 foto a manetta, togliendo atmosfera al concerto. Non è piacevole per chi sta sul palco (soprattutto se parliamo di situazioni piccole) e nemmeno per chi vuole perdersi nel live.

Ti andrebbe di farci vedere uno degli scatti di cui vai più fiera (che sia a tema live o meno)?
Ti direi le foto che ho realizzato per l’ultimo album di His Clancyness e non perchè è la mia band 🙂 Sono molto “mie” e sono contenta di essere riuscita ad esprimere tutto quello che avevo in testa, a partire dai colori, la pasta e le sensazioni. Soprattutto per la copertina che sembra quasi un fotomontaggio ma in realtà è una foto vera.

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Kimberley Ross

www.kimberley-ross.com | @kimmika

Quando hai iniziato a fare foto e perché?
Ho iniziato 9-10 anni fa, nello stesso periodo in cui ho cominciato a collezionare delle bambole (Blythe e BJD). Ho comprato una piccola Nikon per fotografarle ma ho scoperto che la fotografia mi piaceva anche di più. Così dopo un paio d’anni ho smesso con le bambole ma ho continuato con la fotografia.

Qual è il primo concerto che hai fotografato?
Ufficiosamente” i Deerhunter alla Webster Hall di New York, dove ho imbucato la mia macchina e ho scattato dal pubblico. Il primo concerto da un pit con un accredito è stato qualche mese dopo, doppi headliner Tame Impala e Flaming Lips al Terminal 5 <3

Riesci a goderti il live sempre e comunque o ogni tanto senti il bisogno di lasciare la macchina fotografica a casa?
Se fai questo lavoro per amore – e non credo potresti altrimenti – i concerti li vivi sempre con passione, anche quando da fotografo torni ad essere pubblico. C’è da dire che però ormai quando sono ad un concerto per motivi che non sono di lavoro non riesco a fare a meno di guardare le luci e pensare alle foto che avrei potuto fare.

Quali sono i fotografi che ti hanno ispirato maggiormente e/o i tuoi maggiori punti di riferimento (visivi e non – es. letteratura, musica, ecc)?
Per passione (e studi) direi sicuramente che il cinema è sempre stata una delle mie maggiori ispirazioni, soprattutto quando ho iniziato a prendere la fotografia più sul serio. Per quanto riguarda più nello specifico i fotografi che amo, direi che sono tantissimi ma i primi che mi vengono in mente sono Floria Sigismondi, Sarah Moon, Bettina Rheims, Rinko Kawauchi. Cavolo sono tutte donne 🙂

Ammesso che dei “limiti” ci debbano essere, c’è qualcosa che secondo te non può fare un musicista sul palco o che proprio ti fa passare la voglia di fotografarlo?
Sicuramente suonare al buio o quasi – senza luce in fotografia anche il soggetto più interessante è inutile. Per il resto l’artista è lui, noi siamo solo degli spettatori e non abbiamo nessuna voce in capitolo.

Ti andrebbe di farci vedere uno degli scatti di cui vai più fiera (che sia a tema live o meno)?L’anno scorso a Berlino ho avuto la possibilità di fotografare Kevin Parker. Era il mio primo ritratto di un artista di un certo livello – ma soprattutto di uno dei miei preferiti. Nonostante fossi terrorizzata è andato tutto benissimo. Mi dispiace solamente di non avergli detto che era il mio compleanno.”

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Chiara Gambuto

www.chiaragambuto.com | @gambutini

Quando hai iniziato a fare foto e perché?
Avevo 16 o 17 anni credo.
Era la mia seconda prima liceo, istituto d’arte indirizzo grafica e fotografia. Penso sia stata una cosa abbastanza naturale, a scuola sono sempre stata circondata da immagini, dipinti, fotografie, quindi in qualche modo l’arte è sempre stata presente nella mia vita.
Non lo so, non capisco il perché ma ho sempre sentito il bisogno di rappresentare le cose, disegnandole (in maniera alquanto approssimativa nonostante ci provassi dalle elementari ma ahimè, non tutti hanno l’X-Factor), descrivendole sui diari. Poi ho incontrato la mia prima macchina fotografica, una compatta Canon. È durata un paio di giorni, mi è caduta dalle mani nel tentativo di scattare un selfie. Hahahaha.
Non troppo tempo dopo, ho ricevuto la mia prima reflex per il compleanno, perché. Perché non lo so. So solo che la volevo, volevo una macchina fotografica. Volevo un diario pieno di immagini, di ritratti, volevo un ricordo di tutto quello che avevo intorno, perché le parole non sono mai abbastanza e le immagini senza dire niente dicono tutto. bla bla bla.
Da quel momento non ho mai smesso di farlo ed è quasi diventato un bisogno, quello di riuscire a raccontare me stessa attraverso delle fotografie che non rappresentano me ma altre persone o cose o case.

Qual è il primo concerto che hai fotografato?
Sinceramente non ricordo, credo di avere scattato le mie prime foto durante un concerto di un gruppo di amici di amici. Prima di iniziare a fotografare ai concerti c’è voluto un bel po’ di tempo. Sono una persona molto timida e mi vergogno di qualsiasi cosa, a volte anche la macchina fotografica non bastava per nascondermi.
Poi però ho deciso di farmi forza perché oddio, le luci, le voci, la musica, la performance, la nebbia sul palco. Io avevo bisogno anche di questo nei miei diari di immagini.
Controllando le cartellette azzurre, credo che il mio primo “vero” concerto sia stato quello dei Kap Bambino al Tunnel a Milano. 16 Gennaio 2010, non troppo tempo fa!
Wow. Ho avuto paura che qualcosa fosse potuto succedere alla mia macchina, ma non è successo niente, fiù.

Riesci a goderti il live sempre e comunque o ogni tanto senti il bisogno di lasciare la macchina fotografica a casa?
Più andavo ai concerti dei miei gruppi preferiti e più sentivo il bisogno di fotografarli. Volevo (voglio tutt’ora!) che tutti vedessero nel mio stesso modo, volevo che tutti vedessero questi artisti fare quello che amano di più nello stesso modo in cui li vedevo io. Mi è capitato di scattare anche per tutta la durata del concerto, se non venivo sgridata, quando non avevo il pass-foto 3 pezzi e poi ciao. Che va benissimo! Tre pezzi e poi “mi godo il live”. Io sinceramente il live me lo godo lo stesso anche mentre fotografo perché mi piace e perché mi va, se poi vedo che non mi viene mi fermo. L’essere “obbligati” a scattare durante i primi 10 minuti è un po’ una seccatura, cioè, se tipo per i primi 10 minuti è tutto noioso e poi dopo quei 10 minuti diventa tutto bellissimo cosa faccio? Rosico? No, non va bene, però non posso farci niente. Hahahaha.
Andare ai concerti per me è una cosa importantissima, a parer mio la musica è una delle forme di espressione più bella che c’è, e se riesci a comunicare cose attraverso questa, boh, grazie davvero.
Non so se ho risposto dopo questi mille giri di parole ma in conclusione sì, riesco a godermi il live sempre e comunque, la macchinetta non è detto che debba usarla ma in ogni caso è sempre con me!

Quali sono i fotografi che ti hanno ispirato maggiormente e/o i tuoi maggiori punti di riferimento (visivi e non – es. letteratura, musica, ecc)?
Amo la trilogia di Sofia Coppola e credo sia stata proprio lei a rendere il mio immaginario quello che è, mi ci sono totalmente persa e innamorata.
Virgin Suicides, Lost in Translation, Marie Antoinette.
Poi ci sono un sacco di altri registi, fotografi, illustratori, scrittori e vorrei fare una lista di nomi infinita, ma poi come al solito me ne pentirei e “oh no! ho scordato questo e quest’altro diamineee!” Quindi ecco qualche nome che in quest’ultimo periodo è stato abbastanza presente: Rookie Magazine con il tema del mese e le playlist, i diari in bianco e nero di Hedi Slimane, Carolina Raquel Antich, i ritratti in spiaggia di Rineke Dijkstra, i Pinegrove dal vivo, la Tate Britain e la sala dei PreRaffaelliti, i diari di Sylvia Plath, i sogni e Michel Gondry, https://youtu.be/-FkiS1RN5zE, Peggy Guggenheim, …
In questo momento il mio punto di riferimento numero uno è Sophie Calle, scoperta durante i miei anni alla Bauer.

Ammesso che dei “limiti” ci debbano essere, c’è qualcosa che secondo te non può fare un musicista sul palco o che proprio ti fa passare la voglia di fotografarlo?
Quando non capisco se sta suonando perché gli piace farlo o perché lo fanno tutti o perché essere in una band è super cool e spakka di bru, quando non capisco cosa sta cercando di dirmi, quando mi annoio perché magari non c’è troppo movimento sul palco, quando è tutto fermo e monotono e non succede nulla.

Ti andrebbe di farci vedere uno degli scatti di cui vai più fiera (che sia a tema live o meno)?
Adele, Any Other. Una foto che forse rientrerà in un progetto futuro. Mi piace ritrovare un po’ di me negli sguardi degli altri.

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(GIUNGLA – Editor For a Day)

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