ATOMS FOR PEACE, “Amok” (XL Recordings, 2013)

Mi trovo in difficoltà a scrivere questa recensione. Thom Yorke ha infatti dato alle stampe il suo secondo album solista, perché di questo stiamo parlando di fatto, del seguito di quel “The Eraser” uscito nel 2006 e che già al tempo aveva fatto sorgere più di un dubbio, e ancora non si riesce a capire bene il perché si intestardisca con questo progetto parallelo. Non emergono differenze stratosferiche da alcuni episodi degli ultimi Radiohead (un esempio su tutti, “Bloom”), i super-musicisti che Thom ha chiamato con sé in questa avventura, tra cui Nigel Godrich, il cosiddetto “sesto” radiohead e ora pure ultraìsta, e Flea dei Red Hot Chili Peppers, non incidono realmente, l’obiettivo che probabilmente Yorke si era prefisso – quello cioé di andare alla ricerca di un certo ibrido tra la forma canzone e la dubstep – appare piuttosto fuori fuoco.

Insomma… perché l’hai fatto, Thom?

Si potrà rispondere che non siamo noi a dover legittimare le scelte artistiche di un tale fuoriclasse, che in ogni caso “Amok” si fa ascoltare e che lo si può mettere su senza risultarne schifati, che i suoni usati da Godrich sono interessanti… si potranno trovare tante ragioni ma nessuna mi convince appieno. Mi colpisce invece la mancanza di canzoni davvero memorabili, le melodie sono abbastanza anonime (basti in questo senso citare “Unless”) e il cantato di Thom più lagnoso del solito (il Creatore mi perdoni per quest’affermazione!). Flea è irriconoscibile, tranne che nel riff di “Stuck Together Pieces”, e viene proprio da chiedersi che senso abbia chiamare un istrionico come Flea per poi tenerlo con il freno a mano. Godrich invece ricicla idee già da lui usate (le idee migliori pare averle messe negli ultraìsta) e non sorprende particolarmente.

Rimangono due episodi sopra la media del genere, ovvero le scure“Judge, Jury and Executioner” e soprattutto la conclusiva “Amok”, e ciò per una ragione fondamentale: in queste due canzoni gli Atoms For Peace riescono ad afferrare la liquidità che ci circonda, e con cui avrebbero voluto riempire tutto l’album, e portare l’ascoltare in una dimensione davvero altra con la classe che contraddistingue questi musicisti. L’ambientazione di fondo creata dalla voce di Yorke effettata in “Amok” è splendida in questo senso: un’intero proclama per la musica a venire fatto solo di sensazioni.

Ma è troppo poco.

Una volta la mia prof. d’italiano di 2a superiore mi disse: “Bardelli, tu sei da 7, se mi fai un’interrogazione da 6, io ti do 5”. Aveva ragione, è un ragionamento motivazionale.

“Thom, tu sei da 10, hai fatto un album da 6,5, e allora io ti do 5”.

50/100

(Paolo Bardelli)

4 marzo 2013

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