Intervista a Dente

Il 2011 è stato contraddistinto dalla conferma del talento di Giuseppe Peveri, data la pubblicazione di “Io Tra Di Noi” che rende il progetto Dente ancora più reale e maturo, indipendente e lontano da snobismi o ricercati tentativi di costruzione di un personaggio che, basta dare un’occhiata all’intervista, coincide davvero con la persona. Una persona schiva, ma in fondo sicura della forza della propria espressione artistica. Espressione che, aldilà della simpatia o antipatia che si può provare nei suoi confronti, è realtà importante, per cui ci è parso importante raggiungere telefonicamente Giuseppe e chiacchierare un po’.

Prima che partisse il progetto Dente, eri coinvolto nei La Spina, gruppo autore di due buoni dischi, ma che poi è sparito nel nulla o quasi. Ti va di iniziare da lì a raccontare come poi si è sviluppato il tuo mondo musicale?

I La Spina sono durati una decina d’anni ed io avevo il ruolo di chitarrista. Suonavo la chitarra elettrica e poi i due fondatori, Andrea Cipielli e Gianluca Gambini, hanno deciso di chiudere quell’esperienza perchè io mi sono trasferito a Milano e non si era più legati da un contratto discografico, in una situazione un po’ alla deriva. Loro due, come è noto, suonano ora con me e, anzi, è un po’ come se non avessimo mai smesso di collaborare, dato che tutto quello che ho imparato lo devo a loro. Un’esperienza, quella dei La Spina, comunque molto importante e gratificante. abbiamo pubblicato due dischi e tre demo, abbiamo suonato tanto e “ci siamo fatti le ossa” in un periodo molto diverso da questo, più difficile. Era più difficile risaltare o anche solo farsi ascoltare. Lo so che sembra si stia parlando tipo dell’ottocento, ma qui è davvero cambiato tanto. Parallelamente alla fine dei La Spina avevo anche iniziato una mia carriera discografica che ha ottenuto un minimo di riscontro, tale da far sì che continuassi a seguire quella strada.

Quindi, se dovessimo stabilirlo storicamente, in che momento Giuseppe Peveri diventa davvero Dente e quali le differenze rispetto al tuo ruolo nel gruppo?

Differenze tantissime, dato che in quel caso ero davvero “solo” il chitarrista e si suonava qualcosa di piuttosto affine ad un rock diciamo di tipo generalista, per quanto ritengo ancora ora molto efficace e valido, per cui profondamente diverso da ciò che si ritrova nei miei dischi. Poi in realtà “Dente” non nasce nemmeno da “Anice In Bocca”, dato che ho sempre composto per conto mio e pezzi del tutto simili a quanto scrivo oggi, nonostante li abbia poi lasciati un po’ da parte, dato che ogni mia energia era concentrata sul gruppo. Poi erano composizioni che ritenevo non in grado di meritare pubblicazione, del cui valore non ero poi così sicuro neanche io stesso – come oggi d’altronde (risate di entrambi) – ed ho continuato semplicemente a riportare le mie sensazioni in forma musicale, ma sempre come qualcosa che esulasse dal ruolo che avevo in corso.

Beh però, aldilà di ciò che può essere il riscontro economico, quello artistico è evidente e anche abbastanza elevato se raffrontato ad un certo tipo di mercato. Di certo non ti vengo a fare i conti in tasca, ma da “L’Amore Non E’ Bello” pare essersi “mosso” ulteriormente qualcosa. Ti va di tracciare un profilo della tua crescita per ogni disco che hai pubblicato?

Non ci riuscirei, così come non riuscirei a descriverti, se consideriamo i testi soprattutto, gli eventuali progressi o il significato di ogni disco, dato che nasce tutto sotto una forma che non è costruita neanche un po’. E’ il mio modo di esprimere qualcosa che mi appartiente in maniera totale, del tutto autobiografica, ma che mi riesce di esprimere solo in musica, solo in quella maniera lì e ogni volta che tento di farlo diversamente, proprio non mi riesce allo stesso modo o non mi riesce del tutto.

Ma proprio nessuna sensazione di evoluzione? Anche considerando che, disco dopo disco, conosci di più le tue modalità di espressione, così come quelle compositive. Non può non risultarti anche in minima parte diverso il tuo modo di approccciare ogni disco.

Eh ma ripeto, la parola evoluzione o modalità di espressione implicano che ci sia qualcosa di costruito. Dal punto di vista musicale sì, è ovvio che ad ogni disco l’impostazione dei pezzi e delle spezie musicali utilizzate per arricchire gli scheletri delle mie emozioni, hanno subito processi di maturazione e costruzione anche mirati. E’ che dal punto di vista emotivo non riesco proprio a vedere tutto come una serie di miglioramenti o cambiamenti netti o “decisi” e stabiliti, perchè è ancora tutto legato a quel mio modo di esprimere me stesso solo nella misura in cui mi riesce in quell’ambito ed è lo stesso di quei dischi che non usciranno mai di cui ti dicevo prima. Poi, dal punto di vista compositivo, davvero ancora oggi, ogni pezzo nasce chitarra e voce e quindi direttamente da dentro me. Io li porto in studio e ci si industria a dare forma musicale più compiuta, ma nulla è nato da jam session o da intuizioni capitalizzate o incanalate in determinate forme sonore che, è vero, possono sembrare via via più azzeccate solo perchè ci si conosce di più.

Ma anche dal punto di vista testuale un tuo “stile” è evidente. Ti piacciono i calembour, l’ironia surreale a cui alterni delle vere e proprie mazzate di realtà vissuta, amara o meno. Anche in questo da “Anice In Bocca” in poi, evoluzione e crescita artististica mi paiono evidenti.

Sì, è l’aspetto del “ragionarci sopra” che tengo davvero a sottolineare come sia abbastanza labile e passibile di interpretazione. Nel senso che non è mai capitato che mi venisse in mente “adesso serve il disco nuovo” e da lì “costruire” qualcosa solo in funzione di tale “utilità”, nè ragionandoci sopra perchè dovesse venirne fuori qualcosa di forzatamentene diverso. A livello di suoni e di musica sì, perchè mi piace molto che ad ogni disco ci siano elementi nuovi o qualcosa che spiazzi mi spiazzi, in modo da non renderlo la mera prosecuzione o, peggio, ripetizione del disco precedente. In questo senso vengono introdotti elementi nuovi man mano e allora sì, il ragionamento e il senso di “costruzione” acquista un senso maggiore.

Ed in questo penso sia fondamentale che accanto a te siano ritornati i tuoi “ex compagni di squadra” e l’ubiquo Enrico Gabrielli. Quest’alchimia sonora, come si è ricostruita e come funziona?

Li ho richiamati quando è stato necessario che per i concerti servisse una band, perchè su determinati palchi la costante “chitarre e voce” non avrebbe reso, non potevo presentarmi in quel modo. Da lì abbiamo provato arrangiamenti nuovi; ovviamente hanno portato idee interpretative diverse e quindi è stato quasi naturale che ciò avvenisse anche in fase di registrazione dei dischi. Tutto ciò è molto importante, soprattutto in sede di arrangiamento dei pezzi, nonostante ribadisco che non ho ancora compiuto il passo di aprire la composizione a modi diversi da quelli del comporre in solitudine con la chitarra e non so dire se mai lo farò, perchè tutto nasce principalmente dalle parole e ho bisogno che la musica vada di pari passo ad esse. Farei molta fatica a utilizzare il processo contrario perchè non saprei come andare a pescare in quella parte di me che si esprime con i pezzi e con una gestazione in fondo del tutto naturale e legata alla mia sfera emotiva.

“Io Tra Di Noi” però è il tuo disco musicalmente più vario. E’ un disco di Dente al 100%, però non è di sicuro un “L’Amore Non E’ Bello” parte seconda. I pezzi “solo” chitarra e voce sono molto pochi.

Abbiamno deciso che questo disco, e qui sì, ribadisco, si tratta di una scelta ragionata, lo volevamo più ricco di elementi e… più sontuoso. Per cui, maggiore spazio agli archi, una sezione fiati arrangiamenti pieni per quasi tutte le canzoni.

Nonostante ciò, continuano però a risaltare le tue radici musicali. Ora, non ti voglio “rompere” con le affinità con Battisti, che ancora ci sono, ma è evidente come i tuoi amori per certo cantautorato o per la musica brasiliana o la bossanova, si siano ancora una volta incanalati in fase di composizione.

E’che mi piace molto il cantautorato italiano che va da Endrigo a Tenco, compreso Battisti ovviamente, ma penso che l’influenza sia meno diretta di quanto si pensi. Dato che si tratta di pezzi che compongo in quella maniera lì e dati gli ascolti del momento o nel corso degli anni, penso c’entri molto anche il riaffiorare di un certo tipo di cantautorato quasi a pelle, quasi senza che riesca ad accorgermene completamente, perchè le mie canzoni sono il mio modo di esprimere determinate sensazioni nella maniera in cui ti ho raccontato poco prima. Poi, in fase di arrangiamenti magari sì, si evidenziano determinate paesaggi sonori, ma in quel caso, e solo a quel punto non possono non risaltare i mondi musicali che amiamo.

A giudicare da “Due Volte Niente” le relazioni a distanza o nate tramite internet non ti stanno tanto simpatiche.

Ma no, in realtà quel tipo di relazioni non sono il “fine” del pezzo, non ne sono il centro, anzi. E’ una delle tante immagini che “colorano” qualcosa che è autobiografico e denotano il mondo di relazioni e contrasti in cui tutti viviamo e che mi riesce di descrivere in una certa maniera solo tramite le canzoni.

Di tutte le canzoni del disco ci sono “pargoletti” preferiti? Ad esempio a me piace molto la parte finale a partire da “Puntino Sulla I”. C’è qualcosa, qualche passaggio che ameresti si notasse maggiormente perchè ne vai particolarmente orgoglioso?

No, decisamente no, anche perchè è come se dovessi scegliere tra determinate parti della mia vita ed è qualcosa che avviene
nella realtà, mentre nella dimensione musicale fanno parte tutte del mondo della mia interiorità alla cui…alla cui sacralità non voglio rinunciare. Lo so che sembro pretenzioso ma sono la testimonianza di parti di quel mondo e, positive o meno, non potrei nè vorrei distinguere nettamente tutto e compiere scelte, anche perchè non saprei proprio come fare.

Come mai intitolare il disco “Io Tra Di Noi”?

Perchè, parafrasando “Io Tra Di Voi” di Charles Aznavour, è un modo diretto per sottolineare come la mia essenza, la mia vita interiore o come preferisci chiamarla, interagisca con tutto il resto. La relazione tra ciò che ti permetti di provare e ciò che realmente vorresti che fosse e magari sei tu stesso ad ostacolare il tutto. Ed è anche simbolo di quella mia caratteristica di cui ti ho detto più volte: così come non mi riesce di spiegare più di tanto i testi, o descriverli, così avviene anche per i titoli.

Dal vivo come riuscite a riproporre l’alchimia emotiva che caratterizza la tua composizione e le strutture costruite in studio, mantenendone le direttive precise?

In sede live ci tocca riarrangiare molti pezzi, aldilà di quelli che propongo comunque chitarra e voce e che non saprei proporre alrimenti. Certo, la sfida di ricatturare la visione sonora di un pezzo cercando di mantenerne intatta l’identità è cosa buona e giusta per tutti e quindi alla fine ci si diverte anche.

Prendendo spunto dalla risposta, in effetti, rendere live il contributo all’arrangiamento dei fiati di Enrico Gabrielli (come accennato in precedenza) non deve essere la cosa più facile del mondo. Com’è avvenuta la collaborazione?

Enrico è una persona straordinaria con cui ho instaurato un rapporto umano bello e importante, anche perchè altrimenti non riesco a gestire collaborazioni che non siano impostate così. Poi, ha una visione sonora molto ampia ed è qualcosa che non si scopre certo in “Io Tra Di Noi”.

Com’è avvenuta la tua partecipazione al progetto “Il Paese E’ Reale” e pensi che iniziative del genere siano utili e che quella in particolare abbia raggiunto gli scopi prefissati? Come mai nel frattempo il passaggio a Ghost Records?

Il mio punto di vista non può che essere influenzato dal fatto che proprio con il pezzo inciso per quella compilation (“Beato Me”) abbia fatto sì che mi si conoscesse di più, per cui non posso che rispondere affermativamente, se devo stilare il bilancio di quel progetto. Progetto che ritengo sia stato importante e utilissimo per tanti “emergenti e non”, dato che vetrine mediatiche di quel tipo, per quanto non si possa parlare di qualcosa che arrivi oltre un certo punto, sono fondamentali, anche se penso che rispetto ai tempi dei La Spina, in qualche modo sia più facile emergere o, meglio, pubblicare qualcosa. Che poi si venga notati e che si riscuota o meno “successo” per la qualità di ciò che si propone è un altro discorso. Il passaggio a Ghost Records ad esempio è nato proprio dalla comprensione che con le mie canzoni si potesse arrivare ad un pubblico più ampio, cosa che l’etichetta precedente, nonostante l’ottimo lavoro svolto fino ad allora, non poteva permettersi di realizzare.

Per cui, e giuro che non ci avevo pensato prima di questo momento, a Sanremo ci andresti?

Ma è la domanda che mi fanno tutti! (sorridendo)

Ecco, per poco hai “rischiato” che almeno da me non sarebbe arrivata

Beh, Sanremo…andarci o meno non dipende soltanto da me. Nel senso che se la manifestazione tornasse ad essere gestita come qualcosa capace di proporre musica valida e come reale vetrina della realtà musicale italiana, sì, ci andrei e ci metterei tutto l’entusiasmo che posso nel cercare di portare qualcosa che possa essere il meglio di quanto ho realizzato fino ad allora. Però non è qualcosa a cui penso particolarmente, nè mi sembra che le direzioni artistiche del recente passato e del futuro prossimo, abbiano la mia stessa visione della manifestazione

(Giampaolo Cristofaro)

21 febbraio 2012

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