Intervista a Qanat Records di Palermo


È un vero piacere per me palermitana vedere nascere un’etichetta rigorosamente underground come Qanat Records la quale già dallo stesso nome – i Qanat sono canali idrici sotterranei che da secoli innervano la città di Palermo – intende fare riferimento a fonti oscure, nascoste, che bisogna andare a scoprire scavando nel terreno urbano di una città incomprensibile come Palermo.
L’underground che viene perseguito con orgoglio spontaneo e sempre più eroico è una scelta artistica maturata all’interno dell’associazione culturale TACIS (Trinacria, Arte, Culura, Integrazione, Sviluppo) che tra le molte emanazioni volontarie annovera appunto Qanat Records, nata dall’insieme di esperienze di amici che da almeno vent’anni condividono lo stesso sogno musicale, le stesse esperienze, le stesse delusioni, gli stessi fallimenti e nello stesso tempo lo stesso orgoglio del superstite che vive nonostante tutto Ora, generosamente, vorrebbero mettere a disposizione dei giovani emergenti il bagaglio accumulato in anni fertili di creatività e di sogni non del tutto ancora infranti.
Ho avuto la possibilità di fare una chiacchierata con Marco Monterosso e Marcello Paternostro, musicisti e soci fondatori dell’associazione TACIS, con i quali siamo entrati immediatamente nel merito della discussione cercando di mettere in chiaro quale sia la vocazione artistica di Qanat Records.

Cosa significa in una realtà musicale periferica, per non dire isolata, l’esperienza rappresentata da Qanat Records?
Marcello:
Significa sicuramente fare una lotta anacronistica e svantaggiata, già nelle intenzioni di chi la propone e se ne fa promotore. Per quanto la città sia fervida di ottimi musicisti, ci si scontra con l’assenza di un indotto. Non c’è il posto dove suonare, la possibilità di poter registrare, stampare, lasciare dei prodotti che siano dei segni tangibili nel tempo. Mancano alcune figure che per un’etichetta e per degli artisti dovrebbero essere dei punti fermi: Qanat Records in questo senso vuole sopperire ad una parte di quello che può essere un indotto. Andiamo a sopperire alle attività che riguardano la stampa dei cd, la distribuzione, diamo insomma quei mezzi che fino ad oggi hanno rappresentato rarissime opportunità per chi continuava a fare musica qui.
Marco:
È assolutamente questa la cosa fondamentale: l’esperienza dell’autoproduzione, chiaramente poi con l’ausilio della tecnologia, che negli ultimi dieci anni ha rappresentato una svolta decisiva. Però vedi… incontriamo sempre un limite: anche se con la tecnologia da Palermo posso toccare tutti i luoghi che desidero, però da città come Milano o Bologna, pur usando gli stessi strumenti per i contatti con le fanzine o con la distribuzione, posso prendere un cazzo di treno, concedimelo, e invece di perdere tempo in Corso Vittorio Emanuele, posso andare a trovare direttamente i miei contatti.

In questo senso però l’isolamento geografico e culturale può diventare un punto di forza? Ci sono delle caratteristiche che si possono sviluppare esclusivamente su questo territorio?

Marco:
Ne siamo assolutamente convinti. Siamo fiduciosi del fatto che la qualità della musica che si realizza in contesti più periferici è superiore, perché questi contesti sono più liberi dallo stress di omologarsi a tutti i costi con i gusti e gli stili imperanti. Prendi per esempio il filone hip hop: ebbene sono convinto che l’hip hop che si fa a Palermo possa dare molti più spunti interessanti a quella che è già un’espressione musicale che ha dato e sta dando tanto a livello internazionale.

Ma allora noi possiamo parlare di un sound palermitano? Esiste?
Marcello:
Sound… per la mia visione no. Ma, nonostante si possano fare generi musicali diametralmente opposti, spesso e volentieri ci troviamo tra artisti non tanto a toccare le stesse tematiche ma ad avere una visione molto simile, ad avere dei punti di riferimento uguali. Un esempio banale: diversi gruppi hanno preso campioni di “Meri per sempre” non perché è un film ambientato a Palermo, ma perché tocca un nostro modo di sposare certa palermitanità. Da Tunaman che fa reggae ai Necrass che fanno grind c’è come un linguaggio comune, nonostante il suono sia totalmente diverso. Non c’è un suono di Palermo, ma un’attitudine.
Marco:
Anche perché, diciamoci la verità, tutti questi discorsi sul sound sono assolutamente cazzate. Fela Kuti aveva un sound che è suo e basta, o per esempio tutta l’imbarcata di musica balcanica. Ma non puoi, come dice Keith Richards, isolare e dividere il sound dallo stile. Secondo me non si deve parlare di sound, ma di intenzione.
Posso parlare di quelle piccole esperienze che ho avuto girando in tour con gruppi palermitani. Quando vai a fare un concerto a Trento, lo percepiscono che c’è qualche altra cosa… è proprio un’intenzione diversa, è uno spirito che sicuramente noi mettiamo dentro a Qanat Records.
Marcello:
È una cosa che matura dopo anni di autoproduzione, anni di una scena che resta anche forzatamente underground perché non sa come sfociare in canali di amplissima diffusione. Questo penso che abbia forgiato anche l’anima di chi suona.

In effetti qui a Palermo ci sono alcuni artisti che sono veramente dei fuori classe, e che messi in un altro contesto avrebbero incontrato una fortuna diversa.
Marcello:
Se non c’è qualcosa che supporta la musica e le permette di vivere di se stessa, tutto resta fermo a un unico gradino, quello di considerare tutto, da quando imparo a suonare la chitarra a quando so come comportarmi perfettamente sul palco quando sto aprendo il concerto per Sting, come un percorso superfluo. Se non ci sono i mezzi e la mentalità che permettono di convincerci che sia un percorso professionale, come può esserlo quello del fotografo, di un giornalista, di uno scrittore, e se mancano le possibilità tecniche, economiche e per forza di cose imprenditoriali, si resta fermi a un unico punto, dove tutto rischia di morire, e muore spesso e volentieri.

Parlando di Qanat Records: chi verrà prodotto?
Marcello:
Stiamo investendo su chi da poco si è affacciato.
Noi “vecchi” siamo dentro invece perché all’alba del progetto c’era tra le altre volontà quella di riuscire a realizzare un sogno impossibile, pur nella sua piccolezza: avere il cd del mio gruppo, riuscire ad avere una cosa che sicuramente, quando fra venticinque anni il mio gruppo si sarà sfaldato e avrò trovato un lavoro ordinarissimo, sia la prova che qualcosa c’era, viveva. In vent’anni abbiamo vissuto la nascita e la crescita, la conferma e la morte di miriadi di gruppi di cui adesso non abbiamo più un supporto tangibile. Detto questo ci sono mille altre volontà all’interno del progetto.

C’è quindi la coscienza di fare archivio storico musicale qui a Palermo?
Marcello:
Sì. C’è anche un progetto ben specifico di editazione di vecchi nastri, di vecchie demo.
Marco:
Per questo all’interno di Qanat Records abbiamo creato un’altra label, Errata Corrige.

Quante etichette ci sono qui a Palermo?
Marco:
Almeno cinque, sei, di musica trasversale. Mi viene da pensare alla Fritz Carraldo Records, 800 are Records, Malintenti Dischi. Poi ci sono quelle di settore come molte Net Label.

C’è collaborazione tra le etichette di Palermo?
Marco:
Con alcune sì, proprio perché ho cara la mia città! Forse sarò romantico, ma personalmente a me fa piacere se Woolshop Productions o 800 are Records o Malintenti Dischi riescono a suscitare attenzione su quello che si produce a Palermo. È proprio un discorso sull’indotto di cui parlava Marcello, cioè dare la percezione che qui le cose a Palermo si facciano.
Però ci terrei a fare un discorso un po’ più ampio: a livello nazionale e internazionale sembrerebbe quasi che non esista più l’underground, perché ormai tutte le etichette che una volta erano piccole e indipendenti hanno perfettamente soppiantato le grandi etichette, muovendosi e comportandosi come queste, cosa che secondo me ha ammazzato l’underground. Per questo poi spiccano esempi come l’hip hop o il metal, che sono veramente underground, perché li devi andare a scovare. In questo senso Qanat Records la vedo ambivalente in queste cose: sappiamo essere in grado di comportarci come le etichette del mondo, però abbiamo veramente un occhio fisso su quello che è l’underground, veramente noi le cose le andiamo a cercare, veramente noi facciamo cose che ci piacciono, senza necessariamente stare attenti al fatto se un cd possiamo venderlo in maniera clamorosa.
Marcello:
Anzi siamo proprio all’opposto…
Marco:
Certo, non vogliamo essere autolesionisti, o masochisti, però noi esistiamo, noi facciamo le cose e noi rendiamo disponibile quello che siamo! Tanto che chiunque in questo mondo possa dire “Sì, Palermo esiste e fanno queste cose”. Noi esistiamo orgogliosamente underground, anche se in questo momento la parola “underground” sembra essere una parolaccia. Però io questo sono, lo sono da sempre senza saperlo, sono sempre stato così, non ho un’altra intenzione, un altro sentimento rispetto alle cose.



Si può parlare di una famiglia musicale con Qanat Records?

Marcello:
Sì si, quello sì. Considera che è fatta da gente che si conosce da un sacco di anni, quindi sì, le collaborazioni nonostante la differenza tra generi, ci sono da diversi anni. In fondo abbiamo solcato gli stessi palchi quasi tutti.

Quindi più collaborazione che antagonismo tra gli artisti?
Marcello:
Artisticamente molto, molto. Anzi, penso che anche per questo la scena di Palermo sia una delle più poliedriche in Italia.

Per concludere: possiamo parlare di “tattiche di resistenza” in Qanat Records, di volontà di esserci anche in prospettiva futura?

Marco:
Resistere significa comunque conoscere le regole del gioco e attaccare, agire.
Marcello:
E poi penso che sia normale che quando le cose precipitano ci siano sempre delle risposte. Agli occhi di tutti la città è tornata indietro di dieci anni, soprattutto per le cose che interessano noi. Più ci si ritrova a dire “Stiamo sprofondando” più vedi fiorire realtà. Quindi questa penso che sia resistenza. È un po’ lo spirito della città, anche in quello che vedi nei quartieri popolari… Peggiori sono i tempi più facile è che ci sia una risposta.
Marco:
C’era un bellissimo libro, “American Punk Hard-Core” che racconta la scena hard-core punk americana degli anni ’80, e c’era questo tipo che faceva questa riflessione “Minchia forse l’amministrazione Reagan era la migliore cosa che ci poteva capitare” perché ha fatto nascere un sistema proprio di resistenza. E poi appunto a scendere a scendere Berlusconi, fino a Cuffaro prima a Lombardo dopo, fino ad arrivare a Cammarata, possono essere la situazione migliore per rimboccarci le maniche e “spaccare tutto” con i mezzi che possiamo avere a disposizione.

Sito ufficiale Qanat Records: http://www.qanatweb.net/?cat=11

(Stefania Italiano)
(foto dal sito di Qanat Records, dall’alto i Laya, Goog Felafel, Un giorno disperato)

7 novembre 2011

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