Patrick Wolf, Concerto al Wuk, Vienna, 8 Aprile 2011

Va detto a denti stretti, con le guance un po’ rosse magari, tentando di non farsi sentire da troppe persone perché il rischio di venire derisi c’è sempre: Patrick Wolf è l’unico artista moderno che ci fa tornare alla mente per passione, fascino, carisma, oltreché per la stupefacente visionarietá artistica, quell’imprescindibile mostro sacro che corrisponde al nome di David Robert Jones, per tutti sua maestà David Bowie.
A dar vita a questo paragone non sono solo quell’aria da dandy futuristico o i continui cambi di look e costume, né tantomeno il perenne gioco sulla propria ambiguitá sessuale, quanto piuttosto la poliedricità multiforme di un musicistá in continua evoluzione e l’impetuosa eccitazione artistica che lo attraversa. E poi c’è la voce. Calda, sensuale, con un timbro cosí forte e personale, da regalare ad ogni canzone una forza interpretativa unica. Proprio come faceva David.

Venerdí 8 Aprile a Vienna, in un Wuk colmo e sudato, si celebra una sorta di messa ieratica che ha come nucleo l’unione completa tra Patrick Wolf ed il suo pubblico.
Poco importa se il nostro nel corso degli anni si è (parecchio) imbolsito, perdendo un po’del suo fascino efebico, tantomeno se propone una scaletta zeppa di pezzi nuovi, che potrebbe lasciare interdetti tutti quelli che speravano di poter cantare all’unisono i grandi classici del musicista.
Sono ben 7 infatti, le canzoni tratte dal nuovo album (“Lupercalia” in uscita a fine giugno) che, unite ad un estratto da un’introvabile ep ed ad una cover di Joni Mitchell, vanno a comporre piú di metá dell’intera esibizione. Niente “Overture” dunque, né “The Libertine”, scordatevi “Oblivion” e “Damaris”, Patrick usa il pubblico per testare i nuovi brani. Nessuno ne conosce le parole (fanno eccezione i due singoli di lancio, giá imparate a memoria dai fan) né le melodie, ma tutti ascoltano rapiti l’animale da palco che danza, si dimena, suda e stringe le mani a chi si sporge dalle prime file.
Patrick entra in scena dopo la nuova band, composta da due polistrumentiste (violini, sax e tastiere) un batterista ed un bassista. La sua voce giunge da dietro le quinte, intonando i primi versi di “Armistice”, ballata classicheggiante tutta pianoforte e violini, primo anticipo del nuovo album. Neanche il tempo di scaldare i motori ed ecco arrivare “Time of My Life” e con lei giungono i primi brividi. Il pezzo è un vero e proprio gioiellino di art pop, che si erge sulla splendida trama imbastita dalle due violiniste, con Patrick a dare libero sfogo alle sue doti da crooner.

“To The Lighthouse”, estratto dall’album d’esordio “Lycantrophy”, tiene viva la tensione lirica che esplode incontrollabile nel folk celtico di “The Bachelor”, prima che la furia voluttuosa di “Tristan” trascini il pubblico in una danza scatenata. “Accidents and Emergency” alimenta il fuoco acceso dal brano precedente, con Patrick impegnato alle tastiere per quello che rimane uno dei suoi pezzi piú catchy ed accattivanti.
Come detto, la potenza interpretativa di Patrick ha pochi eguali, il suo modo tipicamente bowiano di giocare sulla pronuncia delle parole, sull’enfasi delle frasi, travalica i generi, permettendogli di passare nel giro di pochi minuti dall’adrenalina di “Vulture” (che goduria…) alla ballata per voce e chitarra di “Souvenirs”.
C’è spazio anche per una riuscitissima cover di Joni Mitchell, “Slouching Towards Bethlehem”, prima che l’ormai ex enfant prodige della musica britannica faccia assaporare al pubblico un po’ di inediti. Se “House” e “Together”, ballabili uptempo pregni di synth, sembrano confermare il tentativo, un po’ preoccupante a dire il vero, di avvicinarsi ad un sound piú eighties, “Bermondsey Street”, che vede il nostro passare con disinvoltura dall’arpa alle tastiere, lascia con la piacevole sensazione di aver ascoltato un futuro classico. Nel mezzo si piazzano le splendide “Bluebells” e “Who will”, eseguite divinamente prima del gran finale con “The Magic Position”, cantata a squarciagola dal pubblico. Una menzione a parte merita l’encore, che vede Mr. Wolf cambiare costume e lanciarsi in una versione di Hard Times ai confini della techno, prima di “The City” e della sorpresa finale. Patrick stupisce tutti proponendo “Bloodbeat”, vera e propria gemma electro-glam, una delle tante pietre preziose che andavano a comporre il primo album.
Applausi.

(Stefano Solaro)

Collegamenti su Kalporz:
Patrick Wolf, Festival della creatività, Firenze, 15 ottobre 2009. Le foto.
Patrick Wolf – Intervista (19-10-2009)
Patrick Wolf – The Bachelor
Patrick Wolf – The Magic Position
Patrick Wolf – Wind In The Wires

22 Aprile 2011

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