BURIAL, “Street Halo” (Hyperdub, 2011)

Accade una sera che Kode9, misterioso produttore ed eminenza grigia della Hyperdub, etichetta simbolo del rinascimento dell’elettronica inglese post UK garage, si presenti a Radio BBC 1 con un pugno di canzoni, due per la precisione, dell’altrettanto sfuggente produttore che cade sotto il nome di Burial: di quest’ultimo, detto per inciso, non si avevano notizie, ad esclusione della collaborazione, ancora in divenire, con Four Tet e Thom Yorke, dal notevolissimo “Untrue” datato 2007, album di dubstep purissima, cristallina si potrebbe dire, se questo aggettivo non risultasse essenzialmente ossimorico rispetto alle atmosfere del genere. La notizia, che era in qualche modo emersa tramite Twitter, mobilita un certo numero di appassionati, rendendo evidente, in parte a sorpresa, l’hype che circonda una proposta ritenuta comunque ancora di nicchia, assiduamente seguita in apparenza solo da una ristretta cerchia di appassionati, in particolare al di fuori del Regno Unito. Ebbene, in questa situazione di attesa, al momento del manifestarsi del grande evento, cioè della messa in onda delle due tracce “Street Halo” e “Stolen Dog”, il dj, l’ineffabile Benji B, ritiene indispensabile parlare continuamente sopra la musica, già per sua natura rarefatta e ultra-minimalista, impedendo sostanzialmente agli ascoltatori di farsi un’idea sul ritorno sulla scena di Burial. Si notino, a questo proposito, gli improperi che circolano sulla rete.

Di fatto quindi l’approccio a “Street Halo Ep” risulta privo di qualsiasi anticipazione tangibile. Le questioni in sospeso, per altro, non erano poche dopo la prova di “Untrue”: proseguire su una via definita, col rischio di ripetizioni non caratterizzate da quel livello di ispirazione, svolta pop à la James Blake, virata spiazzante, e molte altre congetture possibile ed effettivamente avanzate. Fortunatamente non siamo approdati a nessuna di queste opzioni ed al tempo stesso Burial è stato capace di non deludere ed innovare il proprio stile: le tre tracce che compongono l’Ep si presentano infatti, pur nelle notevoli differenze, come il frutto di un profondo lavoro di affinamento del suono, un vero labor limae di oraziana memoria. Se la musica elettronica è essenzialmente creazione per assemblaggio, decostruzione e ricostruzione, allora la cifra di Burial appare proprio questa propensione artigianale, nel senso più elevato e nobile del termine.

“Street Halo” mostra con chiarezza alcune novità, o meglio, alcuni tratti forse già presenti nei precedenti album, ma che adesso emergono con maggiore forza: alla cadenza house si accompagna una voce bianca, che devia dalle dominanti reminiscenze soul che connotavano “Untrue”, alle spalle atmosfere da periferia industriale, sottotraccia pulsazioni filtrate da una storia molto antica e molto inglese, dal trip-hop alla two-step. “NYC” al contrario, legata ancora nel mood ad un suono propriamente dubstep, sottolinea però quanto asciutto stia diventando il risultato del lavoro di affinamento di Burial. Il pezzo ricorda molto da vicino “Shell of Light”, ma è come se questa fosse stata sottoposta ad un trattamento smaterializzante, ad una lunga dieta: inoltre le cadenze sono più lente del solito, attestandosi intorno ai 115 bpm. Sullo sfondo rimane intatta la stordente capacità di divertire, “far muovere” e, nel medesimo tempo inquietare, disegnare paesaggi foschi, attraverso tastiere e rumori di fondo da buon noir meticcio d’inizio millennio. Infine “Stolen Dog”, il vero capolavoro dell’album, forse la migliore canzone mai scritta da Burial, e già un instant classic dell’intera scena dubstep: fantasmatici ticchettii, battito onnipresente, linea melodica principale che interviene quattro, forse cinque volte in un pezzo di sei minuti. Al di sopra il vuoto sonoro pneumatico: presenze, fruscii, aloni musicali tenuti assieme da impercettibili percussioni sincopate. Al confronto gli XX saturano l’aria come i My Bloody Valentine in buona serata.

“Street Halo Ep” fa muovere la testa al tempo di aristocratici hit-hats, e riflettere sulle nebulose basi che ritagliano i contorni del nostro presente suburbano, ponendoci di fronte ad una condizione diffusa, comune. Elegante e rigoroso come una pagina di Claude Lévi-Strauss, ermetico ed inafferrabile come un racconto di Raymond Carver, signore e signori Burial è tornato.

86/100

(Francesco Marchesi)

21 Aprile 2011

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