TITUS ANDRONICUS, The Monitor (XL Recordings, 2010)

C’è qualcosa di nuovo nell’aria, un’elettricità che presagisce un qualche avvento, una rabbia e un’angoscia che sembrano rinnovare le parole, gli animi, i desideri, le battaglie del futuro che si preparano nelle attuali contraddizioni.

Con il loro nuovo album i Titus Andronicus hanno mostrato di partecipare a tutto ciò, e come fossero un segno di contraddizione, hanno scatenato giudizi alquanto contrastanti: chi è rimasto sconcertato di fronte ad un vero concept album dedicato alla guerra di secessione americana (ma dai! Un concept album punk?!?); chi ha dichiarato che probabilmente ci troviamo di fronte al concept album più assurdo di tutti i tempi (dove il termine assurdo è valore aggiunto).

L’album si apre con una canzone rock davvero viscerale, “A more perfect Union”, dove la voce furiosa di Stickles non suona ingenuamente sopra le righe, non fa dell’esigenza giovanile di verità un pretesto per i soliti anthem rabbiosi. Perchè diciamocelo chiaro: c’è bisogno che si ritorni a questa “rabbia giovane”, a questo bisogno di giustizia nel caos delle ansie odierne (ascoltate la toccante e alcolizzata “Four Score and Seven” o la desolante “No future Part III”), che accende passioni vere e immagini indelebili. Come quando Stickles urla il suo tantrico “the enemy is everywhere” (“Titus Andronicus forever”), solido anthem punk, riuscendo ad accendere nella nostra mente l’immagine di un uomo (un soldato? Un giovane arrabbiato? L’emarginato di sempre? Lo sconfitto?) che corre disperatamente su un campo di battaglia evitando bombe, cannoni e proiettili che piovono da tutte le direzioni.

Possiamo chiamare a rapporto tutti coloro che hanno ispirato la tramatura dello stile di “The Monitor”, dai The Pogues agli Husker Du. Tuttavia lo scopo di queste righe vuole essere un altro, e per la precisione quello di sottolineare un’ispirazione profetica che aleggia per tutto l’album e che, nonostante i suoi innumerevoli difetti (eccessivo, spossante, come il lunghissimo brano di chiusura “The Battle of Hampton Road”), lo rende rappresentativo della nuova decade che inizia.
La verità è che al di là dei giudizi favorevoli o meno i Titus Andronicus hanno diritto alla loro giovane ambizione e a far volare in terre sconosciute un sound abituato a perdersi nelle tematiche di sempre. Solo per fare un esempio: se avessero limitato le loro intuizioni, i Clash avrebbero mai potuto regalarci una perla come “London Calling”? Perchè è quello che ribadiscono i Titus: il punk può produrre perle inscalfibili, lisce lisce e meravigliose al tocco.

Sia chiaro però: non ci troviamo di fronte a un epocale prodotto che marcherà la storia musicale. L’album da solo non può reggere il peso di una rivoluzione musicale. Quale album potrebbe mai? Ha però l’invidiabile merito di partecipare allo spirito del tempo che profuma di tempesta! E questa tempesta porterà novità e rinascita per ogni discorso musicale a venire.

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