IRON & WINE, The Shepherd’s Dog (Sub Pop / Audioglobe, 2007)

Quante volte Iron & Wine è stato accostato a Nick Drake? Tante, troppe: tutte le volte che si parla dei suoi dischi. Per noi significherebbe sminuirne l’opera, perché, tralasciando qualche somiglianza fisiologica nelle trame di chitarre (“House by the sea”), ci sembra che “The Sheperd’s Dog” abbia la forza di brillare di luce propria.
Lasciamo quindi ad altri lo sterile esercizio di scomodare gli illustri predecessori di genere, chiamati in causa ogniqualvolta un prodotto di songwriting di valore assoluto, come questo di cui scriviamo, capita a portata di orecchie.

La terza fatica discografica di Sam Beam (escludendo gli ep) uscita per la Sub Pop anche nella versione in vinile, assume un connotato di indipendenza dai clichè di genere solitamente adottati dall’ondata di nuovi cantastorie del terzo millennio, pensiamo al capostipite Devendra Banhart e al pur buon Josè Gonzalez. Così tra la più classica delle ballate country (“Resurrection Fern”) trovano spazio sconfinamenti nella psichedelia incipiente di “Peace Beneath The City”.

La sequenza delle tracce ci accompagna, con certa serenità che mai diventa pesantezza o noia, attraverso i territori dell’America Confederata con una scelta di arrangiamenti assai equilibrati, in cui spesso si affacciano strumenti della tradizione country; arrangiamenti mai ridondanti usati per conferire al disco quella omogeneità di intenti derivata da una ispirazione lieve e delicata. I suoni delle percussioni, davvero inusuali in un disco folk, meritano una menzione particolare e sono l’inevitabile eredità della collaborazione coi Calexico sfociata nell’ep “In the reins”, pubblicato nel 2005.

Il barbuto docente di cinematografia presso l’università di Miami, Florida, sforna così il suo lavoro più maturo e consapevole ed è probabilmente proprio dalla sua professione istituzionale che attinge la capacità di raccontare per immagini: Sam Beam riesce a evocare, attraverso i suoni e le atmosfere di questo disco, territori incontaminati e sublimi, ambienti familiari e paciosi, la staccionata o il patio di un ranch, luci calde al tramonto di un avamposto nel deserto.

La sua voce chiude il cerchio di questo racconto, lasciando all’ascoltatore una piacevole sensazione di mancanza, perché, sì, vorresti proprio che quella barba così lunga continuasse a parlarti delle sue cose.

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