TINY VIPERS, Hands Across The Void (Sub Pop / Audioglobe, 2007)

Da sempre, le storie popolari hanno avuto qualcosa di oscuro. Pensate alle favole: quante volte abbiamo sentito dire “Non so come facciano i bambini a non spaventarsi”?

Ora, gli stessi bambini che non tremavano davanti alle favole di Andersen, forse sono diventati adulti come Jesy Fortino, l’unica responsabile dei Tiny Vipers: un’adulta, sarei pronto a giurarci, che si è innamorata della “Ballata del vecchio marinaio” di Coleridge fino a evocarla in “Shipwreck”, o che ha letto colma di interesse i vecchi poemi epici del nord Europa, rimanendo impressionata dalla loro struttura ritmica e poetica, la stessa che c’è alla base delle sue canzoni.

Più che musica folk, “Hands across the void” è fatto di letteratura popolare della più nera: anche quando il suo volto sembra sorridere, l’insistenza delle note di chitarra stringe la gola, mentre Jesy canta con la voce di una Joanna Newsom più oscura (“Campfire resemblance”); lunghissime introduzioni strumentali sembrano aspettare parole distaccate e dolenti, drammi atroci cantati come storie quotidiane.

“Hands across the void” non è un disco semplice: piuttosto che ascoltarlo, è facile cadere ipnotizzati dai bordoni di note e dai riverberi di quella chitarra acustica. Inevitabilmente, l’unico brano a svettare in mezzo agli altri è “Forest on fire”, che descrive perfettamente un incendio (e lo sguardo attonito che rimane a fissare le fiamme) grazie a una distorsione che cresce lentamente e, prima di poterle sfuggire, ha avvolto la stanza.

Una pura metafora sonora alla quale non servirebbero quasi le parole per comunicare.

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