TOM VERLAINE, Songs And Other Things (Thrill Jokey / Wide, 2006)

Il bello addormentato nel bosco è stato risvegliato dal suo sonno decennale (da cosa, non ci è dato saperlo) ed è tornato a far sentire la sua voce nel mondo della musica. Erano quasi quindici anni che il nostro non metteva su supporto del materiale originale, e francamente si aveva l’impressione che quel silenzio compositivo non si sarebbe mai interrotto.

E invece eccomi, piacevolmente smentito, a scrivere di “Songs and Other Things”, ottavo album in studio da solista per quella che fu la mente creativa dei Television: ma se i tempi di “Marquee Moon” e “The Blow-Up” appaiono sempre più lontani, non è che lavori come “Dreamtime” o “Cover” siano poi così assimilabili a questa ultima fatica – che irrompe sul mercato in coppia con lo strumentale “Around”, quasi che con la doppia uscita si palesasse l’intenzione di recuperare il tempo perduto -: il 2006 per Tom Verlaine è l’epoca della tranquillità, della pace, della norma.

“Songs and Other Things” propone quattordici canzoni, niente più di questo, per un’ora o poco meno di piacevole accompagnamento alle nostre giornate uggiose. Certo, la classe è intatta, il nitore del tocco e il gusto melodico non si mettono in dubbio, ma questi riconoscimenti non fanno che far rimpiangere con ancora maggior forza lo sforzo poetico di tempi che, dispiace dirlo, furono migliori. “Marquee Moon” è stato, per ben più di una generazione un punto di approdo e ripartenza, monolite musicale che supera lo spazio tempo e si adagia in un limbo indistinto, punto d’incontro tra universi vicini che lo rende dominatore incontrastato di un mood, di un perchè musicale, di un approccio etico ed estetico alla materia sonora.

Ora ci si può sedere in un angolo, mettere il cd nel lettore e ascoltare con estremo piacere i tempi spezzati eppur pacificanti di “Shingaling”, il cabaret accennato di “Stroll”, la ballata in vaghissimo odore country “The Earth is in the Sky”, l’incedere dissonante ed episodico di “Peace Piece” e via discorrendo. Tutti brani che non hanno nulla che non va ma che non fanno male, non spiazzano, non sorprendono, non uccidono l’ascoltatore poco alla volta inserendosi con forza dilaniante nella sua carne. Niente di più normale, sia chiaro, il buon Tom ha una carriera alle spalle che parla per lui e probabilmente non ha più neanche bisogno di sorprendersi e di trascinare noi con lui in questa ridda di ipotesi stupefacenti.

La pace, la tranquillità, la calma… tutte queste cose deve averle già trovate, buon per lui, e le canta o meglio le mette in musica – che il suo cantare è sempre più un suono man mano che gli anni si avvicendano – come ritiene più giusto fare. Forse il problema è che troppo è stato detto della sua leggendaria chitarra, del suo tocco, delle sue geniali intuizioni. È stato scritto, detto e pensato talmente tanto (sopratutto per quell’episodio di breve durata che risponde al nome granitico di Television, mentre la carriera solista è rimasta più in disparte nell’immaginario dei fans) che oggi, a trent’anni dai suoi esordi e a quattrordici dal suo ultimo lavoro in studio – c’è comunque da ricordare, nel mezzo, la reunion con la band e le schitarrate in giro per il mondo in compagnia di Patti Smith -, di fronte a un bell’album e niente più si corre il rischio di rimanere delusi. “Songs and Other Things” non passerà mai alla storia come un album fondamentale per il curriculum di questo mito del rock ed è senz’ombra di dubbio da leggere come episodio minore, ma la gioia di vederlo rimettersi in gioco è tanta, e per ora conta solo quella.

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