WILLARD GRANT CONSPIRACY, Let It Roll (Glitterhouse / Venus, 2006)

Il fatalismo ha sempre permeato la poetica di Robert Fisher, straordinario pittore di intensità e lirismo che va a braccetto con Pall Jenkins dei Black Heart Procession per raccogliere l’eredità nero pece di quel Nick Cave cui devono pressoché ogni cosa: dall’immaginario maledetto in cui ambientano le loro storie al lento incedere della musica con cui le sonorizzano. Una musica fatta di chiaroscuri emotivi, tensioni elettriche e arpeggi di pianoforte capaci di richiamare un determinato mood esistenziale. Tutto ciò considerato che i Willard Grant Conspiracy sono tra i migliori e “Let It Roll” non è che l’ennesima, splendida, conferma. Un disco sofferto, carismatico, dolente e sanguinante. Registrato tra Lubjana e l’Olanda e pubblicato per la tedesca Glitterhouse – che sia un segno del fatto che in Europa il messaggio della band sia recepito meglio che negli Stati Uniti? Certo non sarebbe la prima volta – “Let It Roll” continua sulle coordinate già tracciate dallo splendido “Regard The End” per raggiungere l’apice in cui la sua musica esce dal disco per avvinghiare le più profonde corde dell’anima. Sia con i testi – come la bellissima “Crush”, scritta a quattro mani con Steve Wynn e l’oscura versione di “Ballad of a Thin Man” di Bob Dylan, registrata per una compilation tributo della rivista inglese Uncut – che con le musiche. Cito ad esempio i primi tre minuti di introduzione della canzone che dà il titolo al disco: una lampo che incendia la notte con la potenza simpatetica dei Bad Seeds più esoterici. Asilo per i mali dell’anima, questo è il disco che conferma lo spessore narrativo di Fisher, che della letteratura americana ha preso l’ossessione realista, il peso del conformismo, il cedimento emotivo davanti alle immagini religiose. Per chi è propenso ai brividi, un disco che se preso di pancia rischia di diventare una droga.

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