HUDSON BELL, When The Sun Is The Moon (Monitor / Wide, 2005)

Hudson Bell suona la chitarra da quando ha 13 anni, suonava cover di Dylan e blablabla… che palle vero? Tanto lo so che non ve ne frega niente della vita di ‘sto tipo e proprio non capisco come queste inutili note biografiche (faceva cover di Dylan, so what?) possano togliere spazio alla musica. Musica che invece toglie spazio al respiro quando al minuto 1:50 di “Slow Burn” entrano il basso, la batteria e insieme deflagrano in una cavalcata elettrica distorta da brividi. I Dinosaur Jr sotto morfina, i Built to Spill all’apice della loro introspezione, un Neil Young tornato dagli inferi dei suoi anni ’70 (“Everybody Knows This Is Nowhere”, “Zuma”). Ed è tutto così. Sette canzoni dal minutaggio esasperato, dall’incedere lento e riflessivo – quasi downtempo, ma rido solo al pensiero – e dalle sfuriate chitarristiche che non rimandano totalmente a J Mascis solo perché qui ci sono la metà della note solitamente suonate dal guru capellone. Ne risulta un disco quantomeno fantastico, che tocca le corde giuste di chi aspettava da tempo un disco di indie-rock con le chitarre così importanti e le atmosfere così pregne di notte, maledizioni e fuochi fatui che si alzano nei pulviscoli di polvere. A volte spunta un Hammond (“The Falls”), altre volte si è concisi e dinosaur come non mai (“Seven Cities”, contro-canti da urlo e Wah-Wah in primo piano) e altre si è impegnati a ricordare come certi suoni possano scaldare l’anima con un solo banalissimo suonato su una corda sola (“Sea Horse”). Cosa volte che vi dica? Che vi cambierà la vita? Che cambierà la musica? Assolutamente no. Ma per quaranta minuti di estasi questo disco è tra le cose migliori che ci siano.

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