SUPER FURRY ANIMALS, Love Kraft (Rough Trade / Self, 2005)

È lì che ci si ritrova, tra le note e per i natali stessi di chi le scrive. In una terra di leggenda, custode d’antiche tradizioni e paesaggi ancora inviolati dalla modernità, depositaria orgogliosa d’una cultura unica, ispirata da millenni di storia. Una cultura che, negli ultimi anni, sotto le spoglie del cosiddetto Welsh Movement, ha prodotto risultati lodevoli, andandosi ad incuneare tra gli altri grandi rivali britannici. Ebbene, tra questi prodotti mirabili sfavillano proprio i Super Furry Animals e “Love Kraft” è solo l’ultima creazione, la settima per la precisione, della band di Cardiff.

Disco al primo tocco lieve e vaporoso, come le onde del mare che increspano i primi secondi di “Zoom!”, ouverture crepuscolare e raffinata a rievocare l’atmosfera delle fredde terre gallesi, ma che contraddice da subito il primo impatto con gli improvvisi echi di chitarre elettriche di “Atomik Lust”. E qui subito appare un riflesso a quel pop rock di matrice psichedelica che ha accompagnato la band sin dalle origini, ma, forse, più che alle laboriosità tipiche di questo genere, il rimando è alla schietta complessità di “Pet Sounds”, capofamiglia irrinunciabile di ogni buona discografia. Eppure, proprio a questo punto fa il suo ingresso “Lazer Beam”, punteggiata d’elettronica, così come la traccia sorella “Psyclone!”, annunciata da un solido riff di batteria. Contraddizioni sottili e che si evolvono impercettibili, sino ad approdare ad una “Oi Frango” totalmente strumentale, mentre “Ohio Heat” si surriscalda per poi placarsi nei colori della ballad tradizionale.

I Super Furry non shockano e non meravigliano come lampi, non hanno necessità di ornare la propria musica con mutazioni accese e decorazioni artificiose: i fregi, sottili, affiorano nel leggero tocco delle tastiere sullo sfondo, nell’incastonarsi tra gli accordi di flauto e clarinetto basso, nel rincorrersi di cori femminili in “Walk You Home”, i quali, rimarcati dal battito del ciárán, fanno di questa traccia una piccola dimostrazione di semplice eleganza. Inoltre, a proposito di parti vocali, va sottolineato come Gruff Rhys non sia interprete di tutte le tracce del disco, altro piccolo indizio d’una varietà più sotterranea che apparente.

Con tutta probabilità, i Super Furry possono essere imputati d’una certa prevedibilità nelle loro costruzioni melodiche, ma sicuramente non appaiono ritriti, né tanto meno frettolosi nell’intaglio del particolare. Il loro ultimo lavoro si conclude con una “Cabin Fever” che ospita un pianoforte apparentemente registrato in presa diretta, con tanto di voci e rumori in sottofondo: dagli spazi infiniti dell’esordio, alle quattro mura di chissà quale locale, dal confronto, forse superficiale, con un genere storico, ai preziosi particolari ed alla sottile eterogeneità di un album che è un dono, una gemma. Una bellezza che si sfoglia nell’aria, ascolto dopo ascolto.

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