WILCO, Kicking Television – Live In Chicago (Nonesuch / Warner, 2005)

Ascoltare il primo disco live dei Wilco con gli occhi ancora appagati del bellissimo concerto che Tweedy e soci han tenuto questo settembre alla festa dell’unità di Milano potrebbe mandare a monte qualsiasi vaga pretesa di oggettività che si aspetta da una critica musicale attenta e precisa. In fondo, stiamo parlando di una delle band che meglio è riuscita a coniugare il verbo della tradizione americana con certo pop colto. Cos’altro aspettarsi infatti, da uno che passa dalle sbronze con Jay Farrar alle suite psichedelico-strumentali con Jim O’Rourke? Kicking Television” è un’attenta documentazione della band lungo il suo ultimo cammino sonoro, quello di “Yankee Hotel Foxtrot” e “A Ghost Is Born”. Le tappe insomma, che hanno proiettato i chicagoani nell’Olimpo del rock grazie ad una musica cristallina e bellissima, che faceva maturare i germogli di “Summerteeth” (qui rappresentato da “Via Chicago” e “A Shot In The Arm”) e si dimenticava del country di “A.M.”, del quale infatti non v’è traccia.

Sul palco accanto a Tweedy, oltre alla band, troviamo quindi i fantasmi di Gram Parsons, di Woody Guthrie (qui omaggiato da “One By One” e “Airline To Heaven”, estratti da “Mermaid Avenue”, i due dischi in cui – assieme a Billy Bragg – si musicavano alcuni testi inediti del singer), di Brian Wilson e di Neil Young. Un’anima poliedrica che si esprime attraverso una scaletta che non lascia spazio a dubbi o contestazioni. E’ perfetta in tutto e per tutto. Non c’è una canzone brutta – ma diciamolo: brutta canzone non può essere avvicinato ai Wilco – e riesce a proiettarti nell’atmosfera che la band sa ricostruire sul palcoscenico. Un rock che ti avvinghia e non ti lascia respirare per tutta la sua durata. Dalla quiete di “Hummingbird” e “Ashes of Americans Flag” alle deflagrazioni di “At Least That’s What You Said” (“Questa canzone è Dio” ebbe a dire un mio amico in quel di Milano. Ha ragione. Quelle chitarre urlano, bruciano e ti incidono per la vita) e “Spiders (Kidsmoke)”, passando per il rock’n’roll sbarazzino di “Heavy Metal Drummer” e “I’m the Man Who Loves You”, il folk di “Combany in my Back” e “Muzzle Bees” e tante altre ancora.

Un disco dalle infinite sfaccettature, che esula dai normali confini del live come prodotto fine a se stesso & per fanatici terminali. E’ invece un decisivo tassello che conferma quanto Tweedy e soci siano ormai artefici di una delle più belle realtà della musica pop oggi in circolazione. Manco a dirlo, come ogni cosa a nome Wilco, fondamentale.

80/100

(Hamilton Santià)

5 dicembre 2005

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *